Categoria : Eugenio Guarini
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Per qualche motivo a me sconosciuto muovere la matita su un pezzo di carta e aggiungerci le parole mi risulta spontaneo e facile. Ed è un modo di pensare e di esprimere a cui sono affezionato. Nell’ultima settimana ho raccolto in questo modo alcune considerazioni.
Meraviglioso il libro di Francesca Marciano, Isola grande Isola piccola.
Italiana, Francesca scrive in inglese. Scrivere in un’altra lingua, che per altro ha imparato molto bene, le consente una libertà nuova, che la lingua madre non le offrirebbe. Si tratta di nove affascinanti racconti dove ogni protagonista (e per la maggior parte sono ritratti di donne) vorrebbe, in cuor suo, essere un’isola (grande o piccola non ha importanza) e «bastare a se stesso», esprimere la sua unicità, sviluppare le proprie caratteristiche e predilezioni (o idiosincrasie, perché no?), ma finisce per essere “contaminato”, travolto e infine messo a soqquadro dal “continente”, non più (se mai lo è stato, in origine) isola ma parte degli “altri”, di quella umanità composta da genitori, fratelli e sorelle, amanti, amici, modelli di riferimento o conoscenze occasionali che intercettano la sua vita. (Alberto Carollo). L’idea che mi suggerisce: la necessità di entrare in un altro mondo per avere un altro punto di vista e far emergere una persona diversa, un sé che dorme dentro di noi e che attende di essere risvegliato.
La vita d’azienda non ha mai riscosso le mie simpatie. Gli artisti sono pigri confrontati con la disciplina aziendale. Ma negli ultimi tempi l’immagine dell’impresa abbozzata da certi giovani imprenditori creativi attira molto le mie simpatie fino a convincermi che ho qualcosa da imparare anche per la mia attività. Così è sicuramente la storia di Derek Sivers. Ecco il suo manifesto dei nuovi imprenditori:
Io chiamo spesso “impresa” quello che sto facendo. Ma l’intendo nel senso di un’avventura in cui sicuramente si intraprende in continuazione qualcosa. È dunque una metafora. Credo tuttavia che forse anche le imprese aziende dovrebbero ritrovare quel senso dell’avventura invece di strutturare il lavoro sul modello di una macchina.
Forse più che vergogna è il sospetto di non prendere troppo sul serio il passare inesorabile del tempo e la circostanza che sono entrato nel settantanovesimo anno d’età. Credo che la tendenza a strafare sia largamente diffusa anche in altre fasce d’età. Eppure ho letto molti libri che invitano con meravigliose argomentazioni a prendere le cose con calma e so che il messaggio è buono. Ma forse i buoni propositi sono forzature. Io cerco una vocina interiore che mi suggerisca ogni volta come muovermi e cosa desiderare. E chi se la sente di dire basta?
Per quanto riguarda la mia vecchiaia ho incontrato, apprezzato e seguito il consiglio della Betty Friedan. L’ho presa come un’età da inventare, senza lasciarmi intrappolare nei vecchi cliché. Il libro non lo si trova più. Mi spiace perché credo sia ancora molto attuale. Di fatto la situazione è molto cambiata. Io incontro un numero incredibilmente elevato di settantenni vivaci e creativi. E’ un segno dei tempi.
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