Elogio delle erbacce
Sono le erbacce che riportano in vita terreni abbandonati, distrutti, maltrattati e calpestati.
Titolo del quadro: 2134 Selvaggia speranza.
Elogio delle erbacce.
“Manifesto del Terzo paesaggio” è il primo libro tradotto in italiano di uno tra i più noti paesaggisti europei. Con l’espressione “Terzo paesaggio”, Gilles Clément indica tutti i “luoghi abbandonati dall’uomo”: i parchi e le riserve naturali, le grandi aree disabitate del pianeta, ma anche spazi più piccoli e diffusi, quasi invisibili: le aree industriali dismesse dove crescono rovi e sterpaglie; le erbacce al centro di un’aiuola spartitraffico…
Sono spazi diversi per forma, dimensione e statuto, ma che presi nel loro insieme sono fondamentali per la conservazione della diversità biologica.
In “Giardini, paesaggio e genio naturale” lo stesso Autore disegna il nuovo rapporto con la natura richiesto dalla coscienza ecologica.
«Il paesaggista regola la mutevole estetica del giardino (o del paesaggio), mentre il giardiniere interpreta ogni giorno le invenzioni della vita; è un mago.»
Presso quasi tutte le civiltà, il giardino, come pure il paradiso, è sempre stato uno spazio chiuso, una fabbrica di paesaggio destinata a progettare e incarnare ideali di vita. Nel xx secolo, però, succede qualcosa di nuovo: il giardino esce dal recinto e annulla la sua separatezza.
Nasce l’ecologia, e con essa, paradossalmente, una diversa forma di limite, ovvero la coscienza della finitezza del pianeta. Il giardino cambia scala e diventa planetario.
Per preservare questo giardino compatibilmente con la logica della vita, è urgente valorizzare il vivente assecondando le sue naturali capacità di autoregolamentazione.
Per tentare di elaborare una ragionevole previsione circa le future condizioni della vita sul pianeta, il giardiniere non deve dunque far altro che mettersi in ascolto di ciò che Gilles Clément chiama «genio naturale», cercando di comprendere prima di agire: fare il più possibile «con», il meno possibile «contro».
“Le erbacce sono importanti perché hanno la capacità di riportare in vita terreni abbandonati, maltrattati, distrutti, calpestati. Sono un po’ come infermieri, medici e medicine”, questo sostiene il libro del famoso botanico inglese, Richard Mabey, dal titolo, “Elogio delle Erbacce” (Ponte alle Grazie). Libro di culto in Gran Bretagna, l’Elogio delle erbacce costituisce una sorta di vera e propria rivoluzione copernicana del verde, scompigliando la percezione che abbiamo della natura.
Definite spesso un flagello biblico da estirpare, fastidiose infestanti o addirittura responsabili di avvelenamenti di massa, le erbacce riescono a crescere dove non cresce altro, a spaccare il cemento, a vivere di nulla e creare terreno buono per le altre piante, quelle che non vengono chiamate erbacce. Difatti, dopo il loro lavoro di piante pioniere, può anche capitare che scompaiano per lasciare il posto a piante che, da sole, non ce l’avrebbero fatta.
Quando ho dipinto questo quadro, cui l’amica Diana con penetrante intuito ha assegnato il titolo di “Selvaggia speranza”, mi sentivo intensamente in sintonia con questa visione delle cose, non solo in rapporto al territorio e alla vegetazione, ma anche a proposito della cultura e alle opere della creatività, anzi più precisamente riguardo allo stesso processo creativo. La mia ricerca, che è passione, curiosità, intraprendenza, ogni giorno si propone di stabilire e coltivare una relazione viva, selvaggia, innocente, spontanea con il “genio naturale”.
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