Racconti dall’Isola 3
I faraglioni si stagliavano poco distanti dalla costa. Mostravano una cavità molto suggestiva che sembrava la porta d’accesso a sotterranei marini ricchi di emozioni e sorprese. Pietro li osservava camminando lungo il litorale. Li osservava ma li vedeva appena. La sua mente era infatti concentrata su Matilde.
Con Lapo aveva volutamente mantenuto il riserbo, perché di Matilde ormai sapeva molto di più di quello che aveva riferito all’amico. Glielo aveva rivelato lei stessa nel corso delle loro chiacchierate. Il pensiero autobiografico di Matilde avveniva per l’interposta persona delle protagoniste dei romanzi che leggeva e di cui raccontava le trame, con i dovuti commenti e confronti.
Raccogliendo quei frammenti, quei suoi: “così la protagonista, mentre io, invece…”, Pietro era riuscito a ricostruire, la sera, sulle sue moleskine, una storia completa delle vicende principali della sua esistenza. Le vicende che potevano essere rilevanti per spiegare il destino di tragedia che sembrava incatenarla. Pietro, infatti, che non lasciava trapelare all’esterno la sua curiosità di trovare una spiegazione razionale di quel destino che pareva una maledizione, dentro di sé ci lavorava incessantemente. Ci doveva pur essere una ragione, qualcosa che permettesse di capire come mai… Forse qualcosa di psicologico, qualcosa di caratteriale, che aveva però effetti fisici sulle persone che si legavano a lei. Tanto fisici da… condurle alla morte.
Tirò fuori dalla tasca il suo taccuino e lesse il resoconto che aveva redatto la sera precedente. Conteneva la lista di tutti gli episodi della biografia di Matilde in cui il legame con lei aveva condotto a un epilogo drammatico.
C’erano stati, all’inizio, un paio di episodi minori già durante le scuole superiori, quando un paio di ragazzi con cui era uscita per qualche tempo si erano fratturati la gamba, uno, e un braccio, l’altro, cadendo malamente dalla skateboard il primo e dallo snowboard il secondo, sempre nell’intento di pavoneggiarsi davanti ai suoi occhi.
Elisa frequentava l’Istituto d’Arte Antonio Canova di Vicenza, un grande edificio nella zona nord della città, vicino al cimitero monumentale. Seguiva l’indirizzo di arti figurative e le piaceva molto l’immagine di artista bohémienne che coltivava nella testa. Una vita di libertà spregiudicata, senza impacci borghesi e ipocrisie moralistiche. Ed era bellissima, con i suoi lunghi capelli ricci ribelli e gli occhi scuri, penetranti.
Era a mala pena diventata maggiorenne quando accettò, per sfida, la corte del suo insegnate di arti plastiche, Antonio B. Finita la maturità decise di passare con lui una vacanza in Corsica. Caricarono sulla Twjngo di lui una grossa tenda da campeggio, una sacca con dei vestiti estivi, s’imbarcarono a Livorno sul traghetto per sbarcare a Bastia.
Decisero di ignorare la costa orientale e di percorrere tutta la costa occidentale dell’isola, fermandosi sulle spiagge più belle. Soggiornarono a Calvi, godettero dei tramonti e delle aurore de L’Argentella, fecero il bagno nudi appena fuori del porto di Galeria, giocarono con Napoleone ad Ajaccio, si abbuffarono di pesce, formaggio e insaccati a Propriano. Arrivarono fino a Bonifacio, nell’estremo sud dell’isola. Lasciarono la macchina nel parcheggio vicino al porto, passeggiarono lungo il centro in cerca di un ufficio cambi e qualcosa da mangiare.
Quando tornarono al parcheggio la Twjngo non c’era più. Con tutto il suo contenuto era sparita. Una volta realizzata la situazione si recarono alla Gendarmerie per la denuncia del furto e poi intrapresero un lungo e faticosissimo viaggio in autostop per raggiungere di nuovo Bastia e prendere il traghetto per tornare a casa con la coda tra le gambe.
Il tragitto lungo la costa orientale della Corsica non fu solo faticoso. Qualcosa di amaro e insopportabile si rivelò e si espanse nei loro rapporti. Antonio diventava sempre più inquieto, geloso, attaccaticcio. Pretendeva rapporti intimi sempre più frequenti, mentre in lei il disgusto e la sensazione di soffocamento crescevano a dismisura. Si negava a lui testardamente e lo vedeva languire, dare di testa. Presero il traghetto con i pochi soldi rimasti. Arrivarono a Livorno, trovarono un passaggio per Firenze, un altro per Bologna e alla fine, affaticati, irritati, amareggiati, arrivarono a Vicenza grazie a una catena di passaggi. Era chiaro che le auto si fermavano per lei, mentre lui abbrutiva sempre di più d’umore e d’aspetto.
Si lasciarono in maniera concitata, sul Viale Verona, davanti la sede della Hypo Alpe Adria Bank. Matilde venne a sapere, dopo qualche tempo, che Antonio era caduto in depressione ed era stato ricoverato. Gli erano stati prescritti dei farmaci che lo lasciavano a lungo in uno stato di intontimento.
Fu quella la prima volta – aveva detto Matilde – che incominciò a pensare che forse era lei che portava sfiga a coloro che avevano la ventura di innamorarsene.
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