Categoria : Eugenio Guarini
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Il quadro: “Il volo dell’aquila”, smalto su tela, cm 100×100
Mi piaceva considerare il mio lavoro d’insegnante come quello di un cuoco.
Insegnavo Filosofia e ci tenevo molto che i miei studenti amassero queste incursioni nel mondo delle idee. Volevo che pensassero con la loro testa e imparassero a dire i loro pensieri in maniera gradevole, arguta e convinta. Perciò facevo il cuoco: inventavo ricette che rendessero appetitose le idee dei filosofi che incontravamo nella speranza di suscitare il loro appetito.
La lezione si trasformava così in una sorta di spettacolo. E un giorno cominciai a portare una telecamera in aula. Un operatore riprendeva le discussioni, gli interventi, quello che capitava. La presenza dell’obiettivo puntato su di loro spingeva gli studenti a dare il meglio di sé. Studiavano con più cura, annotavano le loro riflessioni ed esponevano le loro idee con garbo e una certa teatralità.
Presi da quel gioco, io e gli studenti, cominciammo a parlare per intuizioni ed emozioni più che per argomentazioni ben congeniate. Insomma saltavamo di palo in frasca, dicendo quello che ci veniva in mente, procedendo per libere associazioni. La logica lineare e la pertinenza esplicita e visibile tra le cose che si dicevano venivano rapidamente dimenticate.
L’esperienza era quella di un libero gioioso fluire di pensieri, come in un brainstorming. Provavo un senso di leggerezza, accompagnato da una sorta di distensione muscolare all’intestino.
Al termine di queste animate chiacchierate, però, venivo preso da un senso di inadeguatezza, come se non avessimo svolto veramente il tema proposto, disperdendoci in svolazzi senza capo ne coda. Le cose stavano in questo modo?
Cominciai a risentire a casa le registrazioni e feci una scoperta allo stesso tempo sconvolgente ed esaltante. Gli interventi che apparentemente erano caotici e scollegati, a riascoltarli con attenzione, rivelavano di possedere una connessione profonda, sotto la superficie. Essi contenevano spesso spunti molto interessanti da elaborare, se si era disposti a indagare con maggior cura. Insomma era come se una intelligenza inconscia avesse guidato i nostri interventi secondo una logica che solo a posteriori rivelava la sua pertinenza e la sua arguzia.
Alla fine del riascolto mi sembrava di avere tra le mani una miniera di diamanti grezzi, che avevano bisogno solo di essere ripuliti.
Credo che fosse quella la prima volta che mi rendevo conto del potere del pensiero divergente, o laterale. Era un passaggio a modalità più creative che mi facevano stare meglio e si rivelavano più feconde. Una tappa importante nella storia che mi portava verso la vita d’artista.
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