Un’azienda apistica familiare
Sono andato a trovare Marco Luda una decina di giorni fa. Era da tempo che ci pensavo. La storia di questi due ragazzi m’è rimasta impressa per vari motivi. Il primo è che sono giovani e hanno scelto consapevolmente il loro destino. E l’hanno fatto con lo slancio del cuore e con la saggezza della mente, com’è bello vedere nei giovani.
C’è anche un altro motivo che mi ha affezionato a questa storia. Lui, Marco ha scoperto e seguito la sua vocazione durante la scuola superiore grazie all’iniziativa della sua professoressa di lettere, che aveva portato la classe a visitare un apicultore della zona. E benché non la conosca, a questa professoressa ho sempre voluto bene, perché incarna il tipo d’insegnante che ho sempre amato, quello che guida intelligentemente i ragazzi a scoprire le loro passioni.
Quando li ho conosciuti erano all’inizio della loro avventura. Ho già scritto di loro. Avevo intitolato il pezzo “Una lunga luna di miele” perché quella storia era insieme una bellissima storia d’amore e un’audace storia di miele. Lei è russa, molto graziosa, con due occhi grandi, luminosi e umidi che esprimono attaccamento, impegno appassionato e cura. E lui è Marco, un giovane serio, appassionato del lavoro che ha scelto nel campo dell’apicoltura. Li ho intervistati 4 o 5 anni fa. Allora erano agli inizi, abitavano ancora dai genitori di Marco. Oggi hanno una casa loro e un bambino di due anni, Costantino, al quale insegnano a parlare italiano, russo e un po’ d’inglese, “perché oggi il mondo è globale – dice Luda – anche se è bello abitare in una valle, a contatto con la natura e apparentemente appartati dalla confusione del mondo”.
Li guardo come si guarda non solo una coppia felice ma anche il simbolo vivente di una nuova generazione di giovani che puntano alla qualità della loro vita concreta, prendendo le distanze dalla cattiva modernità pur restando attaccati al sapere, allo spirito d’intraprendenza e alla tecnologia che della modernità sono l’anima più vera. Una generazione – sono sui trent’anni – che è più numerosa di quello che appare, ma soprattutto è viva e portatrice di un significato di rinnovamento e rigenerazione di fronte al quale il cinismo, la depressione e il grigiore che hanno conquistato gli animi di molti che non sanno prendere le distanze dalla grande giostra appare per quel che è: abdicazione alla responsabilità di dare un senso all’esistenza.
Quando arrivo Marco mi viene incontro, mi saluta con affetto e mi trattiene sulla porta aperta perché Luda sta finendo di pulire il pavimento della cucina. È una bella giornata di sole, che ha rotto un po’ l’inizio frettoloso dell’autunno. La casa è sulla cima di un’altura, prospicente lo spiazzo che dà sul ponte di Pratolungo, nel territorio di Locana. Pur essendo dalla parte destra del torrente, a ridosso dei monti, gode di un’esposizione felice che d’inverno gli consente almeno tre ore di sole – mi dice Marco. Terminata la pulizia, Luda mi viene incontro e mi abbraccia: “Sai abbiamo un bambino piccolo ed è bene tenere i pavimenti puliti. Ora è su che dorme. Possiamo parlare”.
La cucina è un locale ampio, come le cucine di un tempo, che sono il vero cuore della casa. È luminosa e in un angolo c’è un tavolinetto con i disegni del bambino. Anche le pareti di quell’angolo sono tappezzate dei disegni di Costantino, le belle macchia in cui i bambini esplorano il possibile. Luda prepara subito un caffè che seve con il miele, “Noi non usiamo lo zucchero, però se lo preferisci, abbiamo delle bustine del bar”. Ovviamente dolcifico con il miele.
Guardo Marco che è seduto proprio davanti a me. Gli dico che lo trovo cambiato. Infatti è più postato, più disteso e cauto nei movimenti. Mi risponde “Sono cresciuto!” e io cerco di immaginare cosa voglia dire. Mi viene in mente la nascita del bambino, la responsabilità familiare, la condivisione delle decisioni con Luda. Ho la sensazione che la sua vis imprenditoriale, che era un tratto molto marcato quando l’ho conosciuto, si sia stemperata armonizzandosi dolcemente con la cura della vita familiare. Che la condivisione con una compagna come Luda lo aiuti a contemperare le ambizioni professionali con la realizzazione di un buon equilibrio domestico.
Marco mi racconta che si sono trasferiti per un anno a Cuneo, dove lui aveva un lavoro interessantissimo di consulente della Coldiretti delle aziende apistiche locali. “Un’esperienza davvero istruttiva. Luda è venuta con me, abbiamo affittato un appartamento. E ogni settimana venivamo in valle a curare gli alveari. Un gran daffare, a dire il vero. Poi è arrivata la bella notizia che Luda aspettava Costantino e abbiamo ridefinito la situazione. Siamo ritornati qui in valle, il cui paesaggio ci mancava, e dove possiamo contare in questa circostanza, per la cura del bambino, anche sull’appoggio dei miei genitori”.
Marco mi parla con calore dell’agricoltura del cuneese. “Cuneo è certamente il distretto agricolo del Piemonte. Lì l’agricoltura è molto avanti. Loro dicono che è così perché non hanno avuto la Fiat. D’altra parte la presenza della Ferrero nelle Langhe ha rappresentato un’esperienza industriale che non ha rotto con i saperi tradizionali dell’agricoltura”.
Ad ogni buon conto hanno fatto le loro considerazioni, si sono chiariti quelle che erano le loro priorità e sono ritornati in valle concentrando le loro energie nell’apicoltura. D’altra parte la loro è un’azienda familiare. E oggi vedo meglio che non si tratta soltanto di una formula economica, di una misura necessaria per far fronte al lavoro in maniera economicamente compatibile. Azienda familiare non è soltanto un concetto economico, è una visione che travalica l’economia e investe la qualità della vita. E infatti, quando arriviamo a parlare di questo Marco mi dice che sì, “esistono aziende nel campo dell’apicoltura che hanno grandi dimensioni e operano con dei dipendenti, ma non è una nostra scelta. Noi abbiamo trovato un nostro equilibrio, che vuol dire gestire 200-250 arnie, cosa che possiamo fare con le nostre forze.”
Qui la filosofia non è crescere il più possibile, allargarsi ad ogni costo. Che senso avrebbe il ritorno alla natura se si riproducessero gli stessi meccanismi della lotta per la conquista del mercato che ossessionano la vita moderna? La filosofia giusta, negli equilibri difficili da mantenere per il carattere marginale nel mercato che i piccoli produttori agricoli possiedono, sembra essere quella che Alessandro Gotta – un altro giovane intraprendente bioniere della valle – ha individuato con il nome che ha dato alla sua azienda: “Poc ma bon”, poco ma buono. Buono come qualità del prodotto, perché accuratamente biologico, ma buono anche per la serenità della vita. C’è qualcosa in questa scelta difficile – difficile perché i soldi restano comunque una necessità pressante nel nostro mondo – qualcosa di umanamente coraggioso, oserei dire di filosoficamente decisivo che fa delle storie di gente come Marco e Luda delle storie significative e degne. Poiché sono delle vere storie. esse sfuggono alla tirannia dell’economia materialistica e si aprono una strada nel mondo rischioso ma degno della vita umana.
Rischioso, certo. Chiedo a Marco se, a distanza di questi 5 o 6 anni, la sua azienda si regge in piedi economicamente, se dà da mangiare. E lui mi spiega pacatamente che l’azienda agricola – e l’apicoltura è più agricola che allevamento, perché si basa sulla raccolta e le api vanno a raccogliere il nettare dai fiori – dipende molto dalla meteorologia, da come vanno le stagioni. La sua ragione economica dev’essere misurata in media tra le stagioni andate bene e le stagioni andate male. E mi fa notare che quella passata è la seconda stagione andata male, con le primavere fredde e piovose che ci sono state. La speranza è riposta nella prossima stagione. L’ancora della loro fiducia è tutta affidata all’imprevedibilità del futuro.
Gli chiedo di parlare delle iniziative che sono state prese a Pratolungo con la Sagra del Miele.
“C’era il problema di inventare una festa rurale anche per questa borgata. Abbiamo deciso di scartare la solita proposta del santo patrono ed è stata accettata la mia idea di una saga dei mieli locali: di castagno, di acacia di fondovalle, il millefiori a base tiglio, di rododendro, il millefiori alpino. Ecco! Da anni la Sagra del Miele ha preso vita con successo.
Abbiamo creato un punto vendita nella filosofia del Farmer Market. E poi l’immaginazione si è sbizzarrita. Volevamo mielizzare tutte le nostre attività, qualcosa che seguisse l’idea della filiera integrata – come si dice. E abbiamo inventato la torta al miele – chiamata “Mielavia” – la “pizza al miele”, che hanno avuto un grande successo e non ti dico la grappa al miele di rododendro che è andata a ruba”.
Mi parlano di quando si alzano alle tre del mattino per andare a curare gli alveari fino a Ceresole. Della bellezza della loro vita e di questa valle. E poi del bambino, dei suoi disegni, dei nonni che li aiutano. Poi Luda sente che il bambino, di sopra, si è svegliato e va a prenderlo. Costantino è insonnolito ma mi guarda con curiosità. Lo faccio giocare con l’Ipad, dove ho un programma per il disegno. So che devono andare a fare la spesa e non voglio rubare loro altro tempo. Ci salutiamo con affetto.
Scendendo avverto un senso di conforto. Il mondo della televisione, e forse il mondo della città, non danno un’immagine confortante di come vanno le cose. Ma sarebbe un errore lasciarsi inquinare l’animo da quelle immagini. Esiste una realtà intraprendente, sana, generosa, capace di costruire nuovi itinerari di esistenza con la freschezza della fiducia. Il mondo si sta rinnovando e questa volta lo fa stabilendo un patto stretto tra la vicinanza alla terra e alla natura e le eccellenze della tecnologia, della buona modernità, del sapere.
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