La superficie
Titolo del quadro: Vado a pelle
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La superficie
Lo dico spesso: la pelle del mondo. O anche: la buccia del mondo.
La Bellezza sta di casa sulla superficie. La civiltà dell’immagine si nutre di superficie. La superficie è incantevole. La superficie è femmina. La curiosità vi si aggrappa. Vi si distende.
È bello e audace pensare alla superficie come all’apparire innocente di ciò che è. In perfetta identità. La superficie come epifania dell’essere.
Anche se un sospetto motivato ci suggerisce che non è tutto oro quel che luccica, e le cose non sono spesso così come appaiono.
Ma perfino l’idea della pelle (la superficie) come complotto ha il suo fascino e la sua attrazione. Una messa in scena sagace per dissipare le tracce. Per occultare la verità.
E poi c’è questa sensazione ineludibile dell’invisibile. Niente più dell’apparire allude a qualcosa che non si vede e che riempie tuttavia la scena con la sua presenza.
Indicibile? Qualcosa che si può solo evocare, non dire direttamente. E perciò, più che cosa, un non so che, un quasi niente. Ma così importante da suggerire perfino l’idea che sia il più, se non il tutto.
Ecco il mondo della pittura, ma anche della fotografia, del cinema.
E credo anche il mondo post moderno – come si dice. Il nostro mondo. Dove non sappiamo mai fino a che punto è vero quel che vediamo e quanto sia inesistente ciò che non si vede per niente.
E’ un mondo di matrix?
Forse, andare a pelle è più metafisico di quanto sembri.
Non abbiamo più a che fare con cose. Ma con entità, enigmi, complotti, epifanie, messe in scena, testi criptati, e svelamenti. E’ il mondo del romanzo d’avventura. L’intuizione vale quanto un pasto. L’idea quanto una nascita.
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