Il segreto della meraviglia
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La foto: Una panca per riposare.
Il segreto della meraviglia
Ho una grande ammirazione per ciò che gli uomini hanno inventato e costruito per rendere la vita più confortevole, sicura e funzionale. Tutte le volte che percorro un’autostrada non posso fare a meno di pensare alla gente che l’ha progettata, disegnata, costruita, ai macchinari che sono stati inventati, migliorati, adattati, potenziati per le varie operazioni. E analoghe riflessioni mi vengono in mente quando vedo i treni, gli aerei, i mezzi di trasporto, o sono in casa, al caldo, con l’acqua corrente e il bagno, e la caldaia individuale; o al supermercato, in mezzo alle corsie stracariche di prodotti che nemmeno il Re Sole aveva a disposizione e i libri e i giornali e la musica e gli aggeggini elettronici… e non finirei mai l’elenco…
Lo so che ci sono un sacco di cose che non vanno nelle autostrade, nei supermercati, nei mezzi di trasporto. Ma è più forte di qualsiasi cattiva notizia: in me prevale l’ammirazione per ciò che l’uomo ha costruito.
E mi sembra che quando dico “l’uomo” è quasi come se parlassi di un’altra specie vivente, sentendomi al confronto così piccolo e distante per le cose che so fare. (Sarà per questo che ho messo nella foto l’immagine dell’ultima panca costruita nel bosco…)
Credo che tutte queste cose che rendono la vita più confortevole, più facile, più scorrevole… diano un grande contributo al benessere e alla gioia di vivere e non ho mai asserito cose come “il denaro non dà felicità”. Col medesimo movimento di pensiero so che queste cose desiderabili danno gioia solo se si possiede la capacità di gustarle, di apprezzarle, di osservare la loro bellezza, di contemplarla, e di inserirle in uno stile di vita che ha un suo sistemi di fini, obiettivi e modalità che riflettono qualcosa di personale, di interiore. Qualcosa che per lo più chiamiamo vocazione, o personalità, o unicità, originalità personale, anima, o con qualche termini del genere.
E se il rapporto con gli oggetti rientra facilmente in un piacevole e gradevole stile di vita, un ruolo molto più decisivo vi hanno le interazioni con le persone, soprattutto le relazioni affettive, l’amore, l’amicizia, il piacere di comunicare, lo stimolo ad apprendere…
Non ho una grande simpatia per le modalità comportamentali che vengono inculcate o persuase dai grandi mezzi di formazione dell’opinione e delle tendenze. Preferirei trovare spontaneità e schiettezza e autentica originalità, freschezza, genuinità, nei comportamenti e nelle parole delle persone. Ma, nell’insieme, mi pare che il grande spettacolo, la commedia umana, a volte la tragedia, o la farsa, siano comunque uno spettacolo curioso, istruttivo, interessante.
Di fatto, penso che mi riesce di apprezzare le opere della civiltà e la scena umana della società – è curioso! – perché sento di non appartenervi al cento per cento. Di non essere totalmente assorbito in questa appartenenza. La possibilità di godere della scena della vita umana sembra legata, infatti, a quella distanza che mi consente di essere spettatore.
Filosoficamente questa considerazione mi manda in pallone.
Come posso essere spettatore perfino di me stesso? Come faccio ad emergere dal puro essere me stesso e diventare uno sguardo sul mio stesso essere?
Hanno detto che in certe esperienze eccezionali l’anima si stacca e riesce a vedere il proprio corpo, magari disteso su un letto, come se gli volasse sopra…
Alla lettera questo a me non è mai successo, ma tutti i giorni mi succede di vivere le cose e di essere spettatore di me stesso nel mentre le vivo.
E so che questo, in linea di principio, succede a tutti.
Leggo che nella meditazione orientale si è incoraggiati ad assumere la posizione dell’osservatore di se stesso, dei propri pensieri e delle proprie emozioni e dei propri sentimenti. E si capisce bene perché. Infatti è così che si prendono le distanze nei confronti di pensieri ossessivi e di sentimenti che ci fanno male e rischiano di sequestrare la nostra attenzione, finendo per logorarci.
Si dice che anche nell’arte di desiderare sia molto importante perseguire i propri desideri senza “desiderarli troppo” – che è un modo simpatico di alludere al mantenimento di quella distanza (distacco) che ci consente di essere spettatori di noi stessi.
Ma questa distanza, questo distacco, questa non appartenenza residua alla vita sociale, alla storia, perfino alla vita della natura, m’incuriosisce molto. È come se una punta dell’iceberg emergesse fuori da tutte le dimensioni che mi compongono. E, a pensarci a fondo, è forse questa l’origine di ogni senso di libertà che mi abita, nei confronti delle regole, delle norme, delle leggi, della storia, della società, e della stessa natura: immerso fino al collo nella realtà naturale e sociale, tuttavia, una punta decisiva di me ne esce fuori, in una dimensione che la libera dalle pressioni e dei condizionamenti.
Che sia questo che giustifica quel senso di amore per l’altrove che credo di avvertire costantemente?
Che sia questo che si vuol significare quando si parla di “testa tra le nuvole”?
Categorie: Eugenio Guarini