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Il quadro: Attendere.
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Che bisognasse cambiare ormai era chiaro. Ma come e cosa e verso dove? In queste situazioni – pensavamo – è un’idea che apre le porte all’energia. E solo se entra in circolo tanta energia si può affrontare un cambiamento che riguarda la tua vita nell’insieme.
È una situazione magica i cui tratti non avevamo scordato – perché sì, era successo altre volte nella nostra esistenza di fare conversioni di marcia abbastanza radicali, a volte costretti dagli eventi, altre volte prendendo l’iniziativa per inseguire un sogno.
E dunque, era proprio questo lo scenario che immaginavamo: l’arrivo di un’intuizione, una visione, una sorta di film nel quale avremmo riconosciuto le ali del nostro desiderio. Un’idea dunque che avrebbe manifestato il suo carisma spalancando le porte della nostra energia, distendendo al vento le vele dell’anima.
E ci mettemmo al lavoro, ognuno di noi, per andare incontro a questa intuizione, per invocarla, per ricercarla, per riconoscerla semmai ci visitasse in incognito.
In quei giorni io mi ritrovavo a fantasticare a lungo – soprattutto durante le mie camminate nella campagna canavesana – di essere su un camper, a girare il mondo. Nomade, non restavo a lungo nello stesso posto, e osservavo la vita – la stessa vita – con l’occhio del nomade che non mette radici in qualche posto specifico e che s’illude di poter estendere la conoscenza dell’essere estendendo lo spazio percorso, lasciando entrare negli occhi le differenze e le sorprese del viaggio.
Nel film mentale ero sistemato bene. Avevo un contratto con un importante Editore (libri? riviste?) che mi procurava i mezzi per vivere. Viaggiavo facendo la rotta giorno per giorno, osservavo, incontravo, e alla sera mi fermavo a scrivere sul portatile i pensieri del giorno.
A volte stazionavo lungo la costa, altre volte ero sulle montagne, in prossimità di qualche valico alpino. Oppure nel grande parco che costeggia il Lago di Ginevra, o sulle alture da cui, provenendo dai Pirenei, avvisti Figueres, o lungo il Danubio alle porte di Regensburg…
Durante il viaggio mi lasciavo invadere dalle immagini, assorbivo il panorama, la meteorologia. La sera mi fermavo a mangiare in qualche posto caratteristico, cucina locale, e attaccavo bottone con chiunque.
Era il tempo dedicato alle persone. E cercavo di leggere nel volto, nei gesti, nei racconti, un’altra geografia, quella che raccoglie il segreto esistenziale di ognuno, la presenza della fiammella interiore, il peso del dolore, il vento dell’entusiasmo, gli effetti della passione e dell’amore.
Immaginavo che lo spostamento del nomade e l’incontro fugace potessero fornire indizi insoliti al mistero della vita, meglio che una annosa residenza sedentaria e un lunga frequentazione.
E alla fine, trovato il posto dove trascorrere la notte, la scrittura. Il momento in cui le cose vissute, digerite, si fanno emozioni e pensieri e cercano il vestito delle parole per accomodarsi sulla scena. Per rappresentare lo spettacolo dell’essere!
E il film aveva anche l’epilogo del ritorno. Quando, dopo le pulizie, l’assestamento, lunghi periodi di pittura raccoglievano, ancora, sulle tele le sedimentazioni del viaggio.
Era così che andavo incontro al cambiamento. Era così che cercavo l’idea. E ascoltavo le mie emozioni durante il fantasticare. E mi pareva proprio di star bene, di essere io, che la vita fosse vera. Finalmente.
Dunque? Era quello il mio orizzonte?
Ritornato con i piedi per terra, vedevo chiaramente gli ostacoli alla concreta fattibilità dell’idea. Mi sembrava che fossero insuperabili.
Era possibile sollevare il macigno che trascinava a picco l’etereo palloncino del sogno? era possibile disintegrarlo?
Pensare a “come fare per”, poteva essere il modo iniziale di vivere quell’avventura? Uno spostarsi verso, un andare in quella direzione…
Era fattibile?
Come sarebbe stato fatto?
Senza risposte a queste domande tutto sarebbe rimasto fermo.
La piacevole evasione durante le passeggiate sarebbe restata una mera fantasticheria.
Questa la posta in gioco.
Categorie: Eugenio Guarini