Categoria : Eugenio Guarini
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Qualunque cosa capiti.
Michela aveva un’anima. Tesa e sensibile. I suoi occhi erano morbidi e intensi. Il volto di una dolcezza penetrante. E si reputava insofferente…
Qualunque cosa capiti, ci dev’essere una via tua, uno spazio tuo, un luogo d’esistenza in cui tu puoi decidere per il meglio.
Qualunque cosa capiti…
Per esempio, ora, Torino. Le Olimpiadi. Una ventata. Un’iniezione. E anche i torinesi vedono grande. Sentono battere il cuore. Una grandezza del sentire che si allarga a macchia d’olio. Questo è un momento favorevole per sognare. Soprattutto, per decidersi. Perché si tratta di cambiare. Un evento fantastico. Ma il punto è sempre lì.
Il punto è sempre lì.
A volte il tempo sembra offrire opportunità insperate.
Ma devi muoverti. Devi cambiare. Si tratta di cambiare. Si tratta, in fondo, di fare tu l’atleta delle Olimpiadi.
Sentire il richiamo e cambiare.
Cambiare vuol dire decidersi a vivere pienamente.
Ah, le vecchie abitudini! Quello stringere il culo, costantemente nel timore di trasgredire il senso dei limiti. Ora, è il momento di osare. Tu per la tua vita. Tutti, per una realtà più vitale.
Ma la gente pensa ancora troppo che si cambia solo – si spera e si sogna – solo se viene una grande ondata – come le Olimpiadi – che ci porta lontano.
Questo non è vero. Nessuno e niente ci porterà lontano se il nostro entusiasmo non ci spinge a darci da fare per cambiare davvero. E questo è un processo che deve originarsi da dentro. Uno ne deve essere consapevole. Non può dire: mi capita. Deve dire: lo voglio.
Ci sono modi di parlare che sono un quaquaraqua. Questi non portano a nulla. Solo scena, che il primo vento spazza via. Ma ci sono modi di parlare che realizzano quello che dicono. È questo modo di parlare che bisogna apprendere.
Io sono colpita dal fatto che in circolo c’è tanto poco entusiasmo. È deprimente. Ma altrettanto irritata lo sono dall’entusiasmo effimero. Quello che nel momento sembra un colpo di cielo. Ma che svanisce alla prima cattiva digestione.
Io non amo gli artisti moralisti. Non sono moralista. L’arte deve far venire a galla qualsiasi cosa bolla dentro. Anche se appare immorale. Ma penso che l’arte si rivela nell’energia in cui gli spettri negli armadi vengono messi alla luce. È quell’energia a riportarli nel circolo della vita.
Oggi è una questione di energia. L’arte è la via maestra all’energia. Inietta energia, perché ne incorpora tanta nelle sue realizzazioni.
Questioni come: dove va l’arte contemporanea? Sono spesso fasulle. Significa semplicemente: dove la portano i mercanti? Ma questa è un’altra faccenda. Non è ancora arte. È il mercato dell’arte.
L’arte va dove vuole e si impone anche sulle strategie dei mercanti. Ma non subito. Il marketing ha la meglio, nell’immediato. È naturale. E anche molto comprensibile, visti gli specialisti che ci sono in fatto di comunicazione. E viste le tecnologie sorprendenti cui possiamo accedere.
Ma l’arte si riconosce anche dal fatto che sfida il potere delle strategie di marketing. Forte per il fatto di sentire dentro qualcosa che dev’essere detto, fatto, perché in sintonia con l’anima del tempo.
Io penso che l’arte non è duro lavoro. Ma impone un duro lavoro. Un lavoro che resiste ad ogni tentazione d’abbandono. Io vedo, infatti, nel cuore dell’arte, la potenza dell’energia e la sagacia dei modi con cui vi accediamo.
L’arte non coincide col successo. L’arte viene prima e lo crea.
Un artista per definizione, quando arriva il successo, molla tutto e ricomincia daccapo. Per trovare la vita e il suo senso.
Michela aveva occhi morbidi e caldi. Si sentiva irrequieta, insofferente. Qualcosa ribolliva dentro di lei. Michela sapeva che prima o poi sarebbe uscita allo scoperto. L’arte consisteva nel consentire di venire allo scoperto, in una forma rivelatrice, qualcosa che nasceva da quel ribollire interno.
Belle notizie.
Una storia nel bosco. Qui.
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