Imparare a credere
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Imparare a credere.
Certo, una tazza di caffè. La temperatura è quasi invernale. Per fortuna la caldaia funziona. Una buona tazza di caffè, che ha l’aroma dei pensieri che mi si accostano. Visitatori eccitanti…
Qual è il prezzo della libertà? – domandava un’amica.
Io pensavo: e che significa essere liberi?
Le parole hanno un fascino evocativo. E qui ce ne sono due toste: libertà, prezzo. Mi sembra che portino in due mondo diversi. E ci sto riflettendo.
Poi mi vengono in mente altri amici, che sono tormentati dal fatto che sono in una situazione lavorativa che proprio non piace, o che sono stati abbandonati da un amante, o che non ricevono dalla persona amata ciò che desiderano, o che non sanno qual è il loro sogno. E quelli che sono tormentati dal fatto che, nella crisi, si vedono cadere contratti di lavoro, o non vengono pagati…
E se penso a quelli che non hanno da mangiare, o un tetto sotto cui riposare; se penso a quelli che sono malati incurabilmente, allora devo frenarmi, perché la mia mente non riesce a reggere tutto questo mondo della sofferenza.
Io sono davanti a un caffè fumante, ho una sigaretta accesa, una casa con caldaia funzionante, ho appena cenato, scrivo al computer e la salute va piuttosto bene…
Mi sento libero, fortunato, perfino felice – se non ci penso troppo.
Mi rende felice il fatto di sapere che amo dipingere e lo posso fare, amo scrivere e lo posso fare, amo imparare musica e comporre e lo posso fare.
Mi rende felice il fatto che lo faccio.
Mi sento libero di farlo.
È un periodo in cui le bollette non incalzano più di quanto non entri in cassa dalla vendita dei quadri.
È un periodo in cui il cuore si sente affidato e sincero. È un periodo in cui mi sento allineato con le forze misteriose della vita.
Un caffè caldo, nero, fumante. Una sigaretta e questa tastiera del computer.
E quello che c’è dentro. Dentro le cose, dentro di me.
Mi meraviglio, perché tutto questo è Grazia.
Il centro di questa Grazia è in qualcosa che posso dire con le parole sentite, tempo fa, da un’amica: sono affidato.
In termini miei, direi che sono abbandonato alla guida di una forza misteriosa a cui ho consegnato il diritto di guidare il mio destino. Cerco di essere vigile, attento. Perché ho deciso che gli eventi – quelli esterni e quelli interiori – mi portano in ogni momento insegnamento, energia, mezzi per partorire quello che porto in grembo.
Paradossale, a dirlo con le parole: mi sento libero di essere quel che sono proprio perché, nell’intimo del mio cuore, ho scelto di obbedire e seguire.
E ho il senso del mistero. Non oserei definire il Dio con qualche formula che lo inchiodi alla prigione di un’essenza, di una dottrina. Non capisco quasi niente del senso grande della vita e non oso decidere se quello che avviene è bene o male. Non mi fido dei miei più elevati concetti di bene e di male. Pur desiderando il bene.
Ipotizzo di avere una vocazione personale, e un destino. Lo faccio perché quest’ipotesi mi piace. E immagino – intenzionalmente – che la mia vita sia un romanzo, un’avventura, il cui senso è proprio la realizzazione di questa vocazione personale. Lo penso quando tutto sembra andare bene. Lo penso anche quando le cose sembrano presentare difficoltà. I momenti di difficoltà sono momenti in cui ritornare alle domande di fondo: cosa sto facendo? Chi intendo essere? qual è il mio dono?
Non mi sembra, oggi, di pagare dei prezzi per questa libertà di essere fedele a me stesso. Al contrario, ricevo doni.
In passato – ricordo – ho dovuto fare degli sforzi, operare delle trasformazioni. Allora sembravano prezzi da pagare. Sembrava che dovessi rinunciare a qualcosa di desiderabile. Poi si sono rivelati delle liberazioni da prezzi da pagare. Come quando sei liberato da un mutuo, o da un debito.
La fame è la fame, il freddo è il freddo, la malattia è la malattia. Ma tante, tantissime sofferenze dell’anima, sono di una natura diversa. Una volta che le hai passate, ti rendi conto che dipendevano da convinzioni che sembravano dei doveri, dei must, ma erano artificiosi, assorbiti acriticamente, infilatisi nell’animo senza discriminazione, per debolezza, passività, imperizia…
Quella che chiamiamo libertà interiore consiste nel liberarci – o nell’essere liberati da queste convinzioni. Ma, quando ne sei un po’ fuori, ti rendi conto che anche essere passati attraverso quei tormenti è stato importante per il tuo romanzo personale. E ti vien voglia di dire a chi soffre: non tentare di fuggire a quel dolore. Accettalo, abbandonati. E’ quello il momento in cui l’abbandono è un grande gesto, un gesto miracoloso. Una sorta di resa.
Una resa è – solitamente – quando si rinuncia a combattere e si è fatti prigionieri dal nemico. Questa resa è diversa: si rinuncia a combattere, ma ci si mette nelle mani di una Forza Amica. E questo – paradossalmente – ci libera.
Allora, davanti a questa tazza di caffè, con la caldaia che incomincia a rendere piacevole l’ambiente, se qualcuno mi chiedesse, ora, cosa deve fare per trovare la libertà, direi: impara a credere, ad affidarti, a sentirti affidato.
Anche credere è un’arte. C’è tanta strada da fare, tanto da apprendere.
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Il quadro: Libera! (acrilico su tela cm 100 x 100)
Eugenio Guarini
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