Una sottile melanconia

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Una sottile melanconia

Fin dall’inizio, il desiderio manifesta la sua presunzione infinita.
Fin dai primi movimenti dice: tutto! È la pienezza della vita, di cui sa ancora niente, che costituisce la sua meta.
E, fin dall’inizio, il desiderio è volontà di credere. Il desiderio implica fede.
Per il solo fatto di desiderarlo credo che sia possibile e lo voglio.

Non conosco altra potenza, nel cuore dell’uomo, che sia così audace, già da bambina.

Rispetto all’esistente, il desiderio ci porta immediatamente Altrove.
Se uno si domanda cosa sia l’Altrove, lo chieda al desiderio. L’Altrove è lo spazio e l’orizzonte del desiderio.

Curioso che ciò che c’è, ciò che esiste ed è a portata di mano, sia subito scavalcato dal desiderio. Ciò che c’è non è abbastanza. E il desiderio mette in moto tutte le potenze dell’uomo. Per andare altrove, per cercare altro, per cambiare il mondo e se stessi.

E incomincia la lotta contro la vita. Anni, decenni, per chi non ha la fortuna di incontrare messaggi diversi. Ma forse, fa parte del gioco. Finché…

E noi scoprimmo che lottare contro la vita, contro l’esistente e ciò che avviene, non è il modo migliore per perseguire i nostri desideri.
E scoprimmo che la tentazione di definire ciò che c’è è alleata della lotta. Come se condannassimo ciò che c’è ad essere in una gabbia. Definire è dire di no alla vita.

La vita è fluida, e continuamente in gestazione. Ciò che c’è è proteso a diventare. Tutto, il mondo interiore degli umori e dei sentimenti, e il mondo esteriore, dei fatti, delle persone, delle cose.
La lotta e la definizione hanno una segreta intenzione di paralizzare il movimento.

E noi scoprimmo, dopo aver sbattuto il naso parecchie volte, che è ciò che c’è, è ciò che avviene, che desidera partorire il sogno. Quello stesso sogno che i nostri desideri si dipingono nella mente.
E che solo un’alleanza, un’amicizia e una cura amorevole, con ciò che c’è può portare al compimento.

E nacque una nuova forma d’avventura.
La chiamammo, all’inizio, l’arte di desiderare nel modo giusto.

Il desiderio ci chiamava a fare. E il fare doveva essere non più lotta, ma coltura, sì, come vuole la metafora del contadino. E fu allora, che scoprimmo che allargando le braccia ed agitandole nell’aria, la vita rispondeva come un’orchestra.

Ma c’era voluto quel passaggio. Da qui a lì.
Era tutto lì il romanzo della nostra vita. E quel passaggio, da qui a lì, era una vicenda piuttosto avventurosa, intrigante, una sorta di conquista del Santo Gral.
E scoprimmo che le favole della tradizione parlavano tutte di quest’avventura. E c’incoraggiavano ad assumere giusti atteggiamenti.

E diventammo amici, anche, di quella sottile melanconia, che rendeva il desiderio sempre presente nei giorni del viaggio.

Belle Notizie

Eugenio Guarini
http://www.eugenioguarini.it

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