Categoria : Eugenio Guarini
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L’arte del desiderio
Dio, come mi piacerebbe!
Sarebbe bellissimo. Io credo che sarebbe il massimo.
La voce e la musica. O, mioddio, la voce e la musica.
Sì, questo va diritto al cuore. E ti porta via. E vai.
C’è vita più vita della musica? L’orchestra dell’intero universo. Le corde di ogni cosa che vibrano ed emettono la loro preghiera.
E io compresi che ogni gesto della mano, dei colori, del pennello, ogni parola suonata sulla tastiera del computer, ogni movimento del corpo… tutto chiedeva di essere musica… e i pensieri, dio!, che pensieri. Ma erano pensieri?
E non c’è modo più elevato e intenso di viaggiare… D’improvviso vai da qui a lì, come nelle astronavi dei telefilm di fantascienza, zum! un colpo di radiazioni e il teletrasporto è un dato di fatto.
In un certo senso, ci eravamo specializzati nel teletrasporto. Usavamo l’immaginazione. Chiunque è in grado di operare questo piccolo grande miracolo. Se non lo fa è perché non è ancora riuscito ad apprezzarne il valore. Preferendo quelle cose misurabili che chiamiamo “dati di fatto”.
Ma noi avevamo capito che il teletrasporto immaginativo era un’arma potente per far venire alla luce ciò che sognavamo.
Noi avevamo capito che se riuscivamo a immaginarlo, sarebbe diventato possibile anche realizzarlo.
Il nostro maggiore impegno era nell’immaginazione.
Chi non lo aveva provato ci prendeva per pazzi, fuori dal tempo, visionari, da rinchiudere, semmai diventassimo aggressivi…
Ma si trattava di qualcosa di speciale, veramente speciale. Noi sapevamo che era l’arte di desiderare.
Noi volevamo pensare che i desideri non fossero un fenomeno di superficie, come l’acqua di uno stagno agitata dal lancio di qualche sasso. I desideri avevano radici profonde, dentro la natura stessa dell’essere. Erano, per così dire, una prima voce dell’anima, che si affacciava alla vita e alle intenzioni e all’operosità, come il germoglio di una pianta.
Di qui l’idea di coltivare il desiderio, e l’arte di desiderare.
Certo, bisognava distinguere il loglio dal grano duro. Ma non poteva esser fatto troppo presto. E, una volta individuata la pianticella, meritava darle ogni cura.
I desideri facevano sbocciare fantasticherie del tutto naturalmente. E noi avevamo intuito che era nell’immaginazione che avremmo dato cura ai nostri desideri. E l’arte di desiderare diventava l’arte di immaginare.
Coltivavamo la nostra immaginazione e i film che essa metteva in scena come il dono più prezioso. Erigevamo serre per proteggerle dalla grandine, e creavamo ambienti in cui poter sognare liberamente.
Secernevamo i succhi gastrici appropriati per riconoscere il sapore dei sogni buoni, dei nostri sogni personali. E ne facevamo un criterio di verità.
Poi lasciavamo che i nostri desideri, considerati veri, reali, ispirassero del tutto naturalmente i nostri comportamenti. Agivamo esattamente come se essi fossero già una realtà. E le cose avvenivano.
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Eugenio Guarini
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