Il gusto dei pensieri

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Il gusto dei pensieri.


Volevamo essere buoni, non coglioni.
Né volevamo proibirci di sentire tutto quello che sentivamo.
Semplicemente, sceglievamo tra i nostri sentimenti quelli che avevano un gusto di vita. E lasciavamo scorrere via quelli che sapevano di muffa.
Avevamo sviluppato un certo gusto per i pensieri.


C’immergemmo nella realtà economica esistente con qualche idea fresca nella testa.
Volevamo cercar fortuna, come si diceva una volta. Semplicemente perché cercar fortuna era un atteggiamento avventuroso e innocente e aveva un buon gusto.
Avevamo intuito che gli affari sono innanzi tutto persone e che le persone non si riducono agli affari. Era un’idea che ci commuoveva, come se ci avesse messo in mano nello stesso tempo la chiave del far fortuna e del vivere una vita degna dei nostri sogni d’umanità.


Uscivamo per questa via dalle angustie del cercare i quattrini e basta, del decidere le nostre mosse solo in base alla contabilità. E, uscendo da quelle prigioni mentali, si apriva un orizzonte fantastico, nel quale potevamo sperare di esprimerci senza economia, sviluppare relazioni ricche e scatenare il nostro desiderio di creatività e d’audacia.


Di più. Ci si aprivano gli occhi. Il mondo non era per niente quella gabbia d’egoisti che pensavamo prima – e come i mass media sembravano suggerirci ogni giorno. Dappertutto c’erano uomini e donne generosi, che provavano un sincero piacere nel contribuire, aiutare, dedicarsi…


Soprattutto, avevamo capito che non era proprio obbligatorio aspettare che persone ed eventi dimostrassero la loro affidabilità per fare le cose. Non era necessario reagire al test di verità che eravamo abituati a presentare a coloro in cui c’imbattevamo. Non eravamo coglioni – l’ho detto – ma ci assumevamo in ogni modo la responsabilità di prendere l’iniziativa. Perché avevamo avuto il sospetto che nel chiedere, prima, le credenziali si mascherava una sorta d’alibi per la nostra passività – che insomma c’eravamo affezionati troppo al ruolo della vittima.


Era soprattutto su questo punto che avevamo affinato il nostro gusto per i pensieri. Quando certi pensieri sapevano di muffa vittimistica li lasciavamo andare, per seguire i pensieri che sapevano di vita.


Un’avventura!


Harry Gulfar aveva sviluppato un’idea che ci era piaciuta particolarmente.
Riguardava il prendere le decisioni in proprio.


Harry diceva:


Poiché la certezza assoluta e la conoscenza incontrovertibile non è alla nostra portata, poiché con le nostre costruzioni teoriche spesso ci confondiamo non riuscendo più a capire cosa stiamo pensando, sviluppiamo il gusto dei pensieri.


Il che voleva dire: affidarsi al gusto delle idee piuttosto che al loro contenuto concettuale. Con i pensieri rappresentavamo qualcosa d’altro. E questo altro era più accessibile al gusto che all’interpretazione semantica delle parole. Infatti, questa era tributaria di un’intera cattedrale di teorie. E ciò ci disorientava più che orientarci.


Come gli animali si orientano con l’olfatto, noi cominciammo a lasciarci guidare, nelle decisioni, dal gusto delle idee.


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