Categoria : Eugenio Guarini
Categoria : Eugenio Guarini
Il vecchio si alzò presto e andò subito sul terrazzo a est. Ci andava tutte le mattine per vedere sorgere il sole. Era la prima emozione della giornata, la più importante. Non appena l’astro di fuoco si affacciava dalle colline, il cuore del vecchio accelerava il battito, gli occhi si spalancavano e la bocca restava per un momento dischiusa per la meraviglia. Poi arrivavano, al solito, impacciate nella loro veste verbale, le domande di sempre. Chi siamo? che ci facciamo qui? cos’è tutto questo? Come se ottant’anni di vita nel mondo, nella civiltà, come se tanti libri letti e tante parole scambiate, non fossero bastati per niente a trovare risposte che lo sapessero quietare.
“Il mondo è luminoso e bello – pensò – ma il suo segreto resta nascosto. Comunque, che importa? Ogni mattina è come iniziare il viaggio di nuovo e io sono ancora vivo”.
Il vecchio era consapevole che le sue gambe e la schiena e i piedi non erano più quelli di un tempo. Ma il cuore no, quello batteva sempre forte e caldo. Era un cuore appassionato. E lui era convinto che lì risiedesse il motore della vita e, forse, il segreto di una longevità felice.
“La mente sa che si muore – pensò – ma il mio cuore non vuole sentire ragioni. Per lui – aggiunse – la vita è sempre mattina”.
Rientrato in casa, si fece un succo di due arance con la centrifuga, poi il caffè nero abbondante, di cui riempì una tazza, dove lasciò cadere pezzetti di pane e scolare miele di rododendro. Andò a mangiare la sua colazione sul balcone, dopo aver aperto l’ombrellone perché la luce non lo abbagliasse. Aveva indossato una leggera giacca da camera sulla maglietta del pigiama, perché dopo i primi temporali d’agosto la temperatura era calata di molto e di mattino era piuttosto fresco. Davanti a lui si stendeva il paesaggio che amava: il bosco attorno al torrente, la pianura con il castello e la cittadina medievale, le colline che delimitavano con dolcezza verdeggiante il suo orizzonte.
Il vecchio aveva un sogno. E quel sogno gli si ripresentava regolarmente a ogni spuntare del sole da due anni a questa parte. La cosa che desiderava di più al mondo era diventare un grande scrittore, con un pubblico adorante, e, soprattutto, con un’ispirazione traboccante di vera autentica poesia. E ogni mattina, sul balcone est del suo alloggio, dopo aver guardato con stupore sempre nuovo il sorgere del sole, dopo essersi meravigliato di essere al mondo e poter assistere e partecipare un po’ a questa grande vicenda che chiamiamo vita, si diceva: “Ecco, sono ancora qui a domandarmi cosa posso fare per diventare un grande scrittore?”. E poi pensava che non aveva contatti con gli Editori, che era piuttosto vecchio ed isolato e… che non sapeva veramente di cosa avrebbero parlato i suoi improbabili libri. Ma queste considerazioni non riuscivano a strapparlo minimamente dal suo sogno. Ce l’aveva nelle ossa. Circolava col suo sangue. Ne sentiva il gusto stordente sul palato. Lo inalava in ogni respiro.
Cos’era quest’amore per la scrittura, cosa significava il fascino che le parole esercitavano su di lui? Che cosa voleva dire quell’emozione intensa, intima, sconvolgente, che provava ogni volta che scriveva una frase, anche un semplice pensiero? Si ricordava di quando, alle elementari, la maestra chiedeva ai ragazzi di scrivere i “pensierini”. Lui adorava quei “pensierini”. Avrebbe voluto ritornare alle elementari. Solo per godere di quei “pensierini”.
Un “pensierino” è un piccolo quadretto che racchiude, oltre la scena da vedere, la luce incantata dello sguardo che vi si è posato:
Il vento soffia sulla
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