Categoria : Eugenio Guarini
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Tempo per Essere
Ovviamente, eravamo operosi ogni giorno. Perché ci sono mille cose da fare. Ognuno di noi si trovava immerso in una ricca rete di relazioni, di impegni, di attese e desideri. Noi non volevamo essere dei contemplativi puri, seduti su una colonna a contemplare il cielo. Il nostro desiderio di esplorare l’essere, cioè, cosa può significare essere vivi e vivere pienamente, era un desiderio attivo. Ma certo, non volevamo neanche essere stritolati dall’inerzia dell’attivismo. Quando si è portati al di fuori delle rotte dei nostri sogni e della nostra consapevolezza. Quando ci si lascia afferrare dalla fretta di fare mille cose senza avere il tempo di masticarle, sentirne il gusto e digerirle,
Avevamo intuito che ci sono dei sentimenti che potevano sequestrarci la consapevolezza di noi stessi e introdurci in meccanismi accelerati di perdita di sé e del tempo. La fretta, l’ansia, la rabbia, l’invidia, la sfrenata ambizione, con tutti i nomi che avevamo a disposizione.
Avevamo capito che c’era un lavoro da fare, non tanto sulle cose, o sulle azioni, ma sulla gestione della nostra anima. Lo chiamavamo “il lavoro dell’anima”. Non era separato dal nostro rapporto con le cose e con il mondo, con le persone e le situazioni, al contrario. Però aveva un suo spazio, una sua dimensione, e richiedeva il suo tempo, soprattutto, richiedeva attenzione, cura.
Tutta questa materia, a quel tempo, era oggetto di un’attenzione che si presentava come spiritualità, o nuova spiritualità. E anche noi ne seguimmo il richiamo. Cercavamo di raccogliere nelle vicende di coloro che sembravano andare avanti nella crescita e nella realizzazione spunti per formulare delle indicazioni, come dei cartelli stradali che indicano la direzione di marcia.
Uno di quelli che ci sorprese e ci conquistò, all’inizio, potrebbe essere espresso in questi termini: se cerchi qualcosa, se vuoi ottenere qualcosa, incomincia a darlo per primo. Se cerchi amore, incomincia a dare amore; se cerchi denaro, incomincia a dare denaro; se cerchi attenzione, incomincia a dare attenzione…
La bellezza di questa indicazione consisteva nello stato d’animo o nell’approccio alla vita che metteva in campo e che coltivava. Un approccio che aveva lo sguardo ed i gesti dell’abbondanza, della gratuità, della grandezza d’animo, del disinteresse.
Avevamo scoperto la fecondità di questo atteggiamento. Ci faceva uscire dalla grettezza del sentire, del pensare e del fare. Liberava i nostri sogni più arditi. Sprigionava fiducia nella vita. E portava effetti sorprendenti e miracolosi. Era completamente all’opposto del vittimismo sacrificale che inizialmente ci preoccupava quando tentavamo di essere generosi.
Nelle nostre imprese, mentre cercavamo di conquistare spazi di mercato, noi ci accorgevamo che stavamo gustando l’essere, cioè molto di più. Mentre andavamo agli appuntamenti di lavoro, vedevamo la bellezza, perfino nelle autostrade, negli scenari del paesaggio, nell’aria che respiravamo, nel cibo che mangiavamo agli incontri di lavoro, nelle persone con cui volevamo stabilire contratti di reciproco vantaggio.
Insomma, attorno allo scheletro dei nostri intenti commerciali, cresceva uno spessore multistrato di dimensioni umane, emozionanti, sensibili, estetiche, significative, che ci parlavano della ricchezza e della bellezza dell’essere vivi.
Affioravano le mille determinazioni dell’Essere. E noi trafficavamo con l’Essere in ogni momento. E l’Essere acquistava sempre di più i caratteri che apprezzavamo come persone. L’Essere era Vivo. Molto più vivo di quello che pensavamo all’inizio. Forse l’Essere era Persona…
E ci rendevamo conto che il tempo dell’incontro con l’Essere non era la fretta. Non era scivolare da una cosa all’altra, azzerando ansiosamente la nostra lista di impegni, con la pressione interiore di arrivare in fondo.
In fondo.
In fondo, era come godere del cibo. La lentezza? No. Il tempo giusto
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