Categoria : Eugenio Guarini
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Destriero volante.
Ma via!, siamo tutti uomini comuni.
Voglio dire che ci stanchiamo, facciamo quel che possiamo, abbiamo le nostre fisime, delle volte leoni, altre volte coglioni.
In qualche modo pensiamo. Cerchiamo di guidare la nostra vita con quella cosa che chiamiamo pensiero. Siamo consapevoli fino a un certo punto e siamo consapevoli che oltre questo limite è il buio.
Cerchiamo di lottare contro le cose, ci diamo da fare. E quando lo sforzo ci sembra eccessivo, al di là della nostra portata, semplicemente, ci arrendiamo.
Personalmente, mi sono arreso tante volte. Quando ringalluzzisco tendo a strafare. Ma prima o poi arrivo al limite. E allora mi arrendo. E confesso che ho imparato che nella resa c’è una pace straordinaria, che non sospettavo quando ero più giovane. Allora mi sembrava un disonore. Ora no.
Quando mi arrendo so che la vita è troppo al di là del mio controllo e del mio potere. Che altro potrei fare di più saggio?
Però c’è una cosa nuova. Nella resa io mi affido. In un certo senso, mi abbandono come si abbandona un bimbo ai propri genitori. Ma a chi mi abbandono, io?
Vorrei poter rispondere con sicurezza: a Dio. Ma sono sincero: di questo Dio non so cosa pensare. Non mi ha mai telefonato, non mi ha mai scritto una lettera, non mi ha dato nessun appuntamento. Dunque, è un Dio che non conosco, su cui non saprei che dire.
Potrei dire che mi abbandono al mistero della vita, volendo credere che sia benigno per me. Volendo credere che mi porti a buon fine. Volendo credere che questo suo silenzio abbia un significato. Certo mi pone continuamente domande sul significato.
Quando mi pongo domande sul significato – il che avviene in continuazione – io sono sempre di fronte a un mistero. Lo so benissimo che tutti i miei sogni, che i miei disegni, i miei pensieri e le mie visioni in proposito sono delle ipotesi gratuite. Voglio dire, senza nessuna dimostrazione.
Con tutto ciò, sento di avere il permesso di fantasticare, di immaginare come sarebbe bello che fosse. E ora mi viene questo in testa. Viene da sé, e io lo trascrivo, semplicemente.
Credo che la domanda che sta sotto questa fantasia sia se è possibile che io influisca in qualche modo sugli eventi e su quello che mi succede. E la fantasia è questa. Mi piace e ve la racconto.
La fantasia è che dentro ognuno di noi, e dentro le cose, e dentro gli eventi c’è come una sorta di diapason. Diciamo un diapason a vibrazione variabile.
Per esempio, quasi tutti hanno fatto l’esperienza che il comportamento di una certa persona li irrita. A volte basta solo vederla, quella persona, e già ti senti irritato. Altre volte, la presenza di qualcuno, ti mette di buon umore.
Insomma immaginiamo un diapason, che vibra in un certo modo. Lo sapete che i diapason entrano in risonanza con altri diapason. In un certo senso le loro vibrazioni si comunicano in questi corpi sensibili che sono diapason.
Ecco che le vibrazioni si comunicano, fanno risuonare altri diapason. E si configura un mondo, una serie di eventi che nascono da queste vibrazioni.
Allora, diamo una spinta iperbolica a questa ipotesi. Immaginiamo che uno possa assumere gradualmente il controllo delle vibrazioni che emette. Che possa, gradualmente, regolare le sue vibrazioni. Per esempio che sappia emettere vibrazioni positive, di gentilezza, di affetto, di stimolo, di buona volontà, di letizia, di fiducia, cose del genere.
E che queste vibrazioni facciano entrare
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