Condividere un nuovo modo di pensare

Il quadro: “Occhi che penetrano la distanza”, acrilico su tela, cm 100×100

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Ci sarebbe anche questa idea: la relazione come danza. Parlo della socialità pubblica transitoria. Gli incontri casuali sui marciapiedi o al supermercato, per esempio.
Trasformare queste circostanze in tempo di danza. Scimmiottando i classici minuetti o balli collettivi di un tempo, con inchini, manfrine e segni di rispetto.
Arricchendo il solito “come va?”, danzare un minuto, con battute appropriate, inventate sul posto, ma a ritmo di danza (che uno s’immagina in testa).

 

2

Qualcosa di selvaggio rimane vivo dentro.
Io amo la cultura. La considero un po’ come coltura, il lavoro che si fa con i campi e le piante commestibili.
Ma solo quando potenzia e sviluppa il naturale, non quando l’inibisce o lo castra.
L’energia di fondo scaturisce sempre dall’area selvaggia di noi stessi. La sorgente non va inibita.
Nei momenti in cui le regole della cultura diventano soffocanti è quest’energia che rompe i recinti.
Per questo adoro le “erbacce” ai margini delle strade e nelle aree non coltivate. Ne sono la metafora e l’esempio. E la macchia mediterranea, così vigorosa e lussureggiante.

 

3

La mia formula (se si può dire così) è: inventa la tua storia di una vita piena e felice, entraci dentro fino al collo, ricavane energia e motivazioni inesauribili, e modella gli eventi e le cose in funzione di quella storia affinché quella storia diventi la tua realtà.


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Oggi che l’artista ha perso l’aura attraversando la strada velocemente per non essere travolto sulle strisce pedonali, l’arte scopre meglio la sua vocazione più essenziale.
Che non è di alimentare la liturgia del vate, ma nella capacità di ricreare e rinnovare le energie vitali, di espanderle in nuove idee che sostengono la creazione del futuro, di ritrovare la verginità originaria scrollando di dosso tutte le croste di passati che non hanno più ragione di essere e che procurano solo attrito ai nostri gesti adolescenziali.

 

5

Nel cuore del bosco mi venne in mente qualcosa che avevo letto sulla dendrocronologia.
So, come sanno tutti, che gli anelli concentrici del tronco degli alberi indicano l’età della pianta. Mi pare che il primo a intuirlo fu Leonardo, il solito genio.
Ogni tanto leggo le cose di Tiziano Fratus che va alla ricerca degli alberi monumentali. La loro età è sbalorditiva. So di un Pinus Longaeva del Nevada, tagliato nel 1964 alla veneranda età di quasi 5.000 anni. E di un abete rosso scoperto in Svezia che dall’alto dei suoi 9.550 anni è il decano della vita sulla terra. È la stessa età della civiltà umana se si pensa che l’inizio dell’agricoltura viene fatta risalire a circa 10.000 anni fa.
Nel cuore del bosco mi guardo attorno immaginando che da qualche parte ci sia uno di questi vegliardi. Mi sorprende il loro silenzio sulle cose che hanno potuto osservare. Forse un giorno, con altre tecniche, potremo farli raccontare.
E penso a quanto corta appare al confronto la mia esistenza.

Bisogna che recuperi in intensità quello che perdo in longevità!

 

6

La degenza in ospedale mi suggerisce qualche riflessione relativa alla parziale perdita di identità del paziente.
Il degente per un periodo abbastanza lungo (una settimana e più per esempio) vive in pigiama per tutto il tempo, è passivo rispetto ai pasti e ai loro orari, passivo nei confronti della somministrazione dei farmaci e degli esami (non prende quasi più decisioni autonome negli atti della sua vita), rimane in ambienti privi dei segni della sua professione e dei suoi interessi…
Me ne sono accorto su di me.
Tutto questo tende a far dimenticare chi si è, induce a una sorta di regressione, soprattutto se c’è dolore.
Capisco che l’essermi portato dei libri da leggere, il continuare in qualche modo a disegnare, a intrattenere la comunicazione sui social, l’essermi portato il taccuino per scrivere i pensieri, non è solo per passare il tempo: è per ricordarmi chi sono, per difendermi dalla pressione di un ambiente diverso sul senso della mia identità. Però il fattore più importante, per me, per la difesa della mia identità è il ricordo reiterato della mia storia d’artista e la presenza coltivata e ribadita del sogno che mi abita.

 

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I problemi e le sfide che riguardano il futuro sono davvero enormi. Dobbiamo collaborare o andare in rovina. Questo sembra abbastanza chiaro.
E per me è abbastanza chiaro che questi strumenti, che ci consentono di entrare in contatto a livello planetario e di condividere e pensare insieme, sono strumenti decisivi per imparare a farlo.
Può essere che ci voglia molto tempo, conviene iniziare subito.
I problemi delle lingue diverse sembrano abbastanza risolti dall’esistenza dei traduttori. Non saranno traduzioni perfette (miglioreranno di sicuro), ma non siamo agli esami di letteratura nazionale o comparata. Il nocciolo essenziale dei nostri pensieri viene trasferito in maniera sufficientemente comprensibile.
Forse l’obiettivo più importante al momento è imparare a uscire dalla modalità conflittuale per entrare nella modalità collaborativa.
Ci stiamo lavorando…

 

8

Non condanno la modernità. Sono grato per la modernità. Mi sembra una follia demonizzare la modernità.
Io voglio solo cantare il verde, l’aria aperta, i boschi, le montagne, il mare, le campagne…
Vorrei che la modernità potesse completarsi sposandosi con i boschi, i parchi, gli spazi aperti, il cielo, i fiori, le brezze. A portata di mano, fuori dalla finestra, vicino la porta di casa.
È tempo di ripensare incessantemente le cose. Di non dare niente per scontato e definitivo. È tempo non solo di pensare positivo ma anche di pensare creativo.
Pensare positivo e creativo ha bisogno di verde, di spirito selvaggio e di gusto per la meraviglia, occhi nuovi e gambe tonificate. Non solo di spirito critico.
Ci vuole tanta energia buona, sorridente, operosa.
La fiducia nel proprio agire non deve essere attesa dallo stato delle cose, deve precedere e venire da dentro.
L’Eden non è uno stato felice che abbiamo perso a causa di una colpa, è ciò di cui abbiamo bisogno e che è un peccato non perseguire.

 

9

Noi stiamo formando la nostra mente e il nostro sentire per renderci più adeguati ai cambiamenti avvenuti nel mondo, anzi per renderci più adatti ad affrontare il cambiamento che coinvolge ogni aspetto della vita a livello planetario. Le sfide sono enormi e necessitano di uomini nuovi. Il trend culturale più vitale oggi insiste sullo sviluppo personale. In particolare dell’immaginazione e di un modo di pensare creativo. La vitalità si sviluppa lungo questa linea e conta sulla collaborazione su scala mondiale, resa possibile dai nuovi strumenti digitali.

 

 

Categorie: Eugenio Guarini