Lettere da Nosolandia 27

Lettere da Nosolandia 27

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Quelle persone lì.

Mi esercito tutti giorni. Mi esercito a disegnare, a pensare, a scrivere. Mi esercito soprattutto a mantenere alto il livello di vitalità. La vita la voglio piena di me.

Due anni fa, durante una mia mostra ad Andora, ho conosciuto un giovane uomo in carrozzella, un architetto che ha comprato un mio quadro. Mi ha colpito la sua vitalità. Ha una barca nel porto e mio figlio lo conosce. Parlando di lui e della sua energia mio figlio ha detto qualcosa che mi ha regalato molto di più di una verità. “Quelle persone lì – ha detto – una volta che hanno superato la fase di auto commiserazione, non le ferma più nessuno!”.

Ne ho incontrate altre di persone così.

Quando, tredici mesi fa, mi hanno diagnosticato un linfoma e introdotto alla chemioterapia, ho pensato a quelle persone lì. Quando, sette mesi dopo, la chemio mi ha regalato una polineuropatia che mi ha paralizzato le gambe, ho pensato a quelle persone lì.

E mi sono detto: “Se loro sì, io no?”

E ho scoperto dia vere risorse che non sapevo di avere.

E ho scoperto che essere vivi è molto più bello di quanto non avessi pensato prima.

Per questo mi esercito ogni giorno a mantenere alto il livello di vitalità.

Sono appena tornato da una camminata di quattromila passi. Metà dei quali tenendo sollevata la stampella. Le mie gambe possono salire adesso, anche senza l’aiuto della stampella e della ringhiera, i sette gradini che mi separano dall’ascensore all’entrata di casa mia.

Vado a fare la spesa da solo e cucino. Ho ripreso a farmi le pulizie di casa. Sto recuperando la mia autonomia.

E, soprattutto, ho una gran voglia di operare alla realizzazione dei miei sogni.

E mi esercito ogni giorno. Ogni giorno!

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“Riposare accanto al grande albero”, quadro digitale.

Stamani, per alcune ore nell’area attrezzata di Sparone.

Ascoltavo su Youtube una conferenza di Recalcati sul desiderio.

È un argomento che mi attira sempre. Non per farci delle conferenze.

Innanzitutto perché questa parola designa qualcosa che è diventata sempre più importante per me. Alla fine dei conti questo “sentimento”, se vogliamo chiamarlo così, è l’unica potente forza interiore che mi spinge a muovermi, a cercare, a tentare. È l’anima stessa della mia avventura esistenziale.

E con questa parola non indico più i desideri che disperdono le mie energie senza costrutto (se mai ce ne siano). Indico qualcosa che s’impone come una vocazione. Qualcosa da cui dipende la mia felicità (se si vuole utilizzare questa parola impegnativa).

In fondo la direzione della mia vita è stata indicata da quel poco che sono riuscito a capire del mio desiderio di fondo. Ho obbedito, non a una legge esterna, ma a un richiamo interiore, discutendo con esso e mettendo le mie risorse al suo servizio.

Dare un volto a questa urgenza non è stato sempre facile. E sembra essere un compito che non finisce mai.

Il risultato è stato quello di accettare che l’oggetto oscuro del desiderio non fosse tanto una meta ma il viaggio stesso. Un viaggio interminabile.

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Le cose che ci appassionano sono le cose che ci svegliano.

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“Mercanti di bestiame verso la città”, quadro digitale.

Certe situazioni hanno ancora tutto il loro fascino. Alle fiere degli animali, oltre ai contadini che vengono a vedere, a comprare, o a mostrare i prodigi che hanno allevato, per ricevere la coccarda, ci sono i bambini. Genitori e nonni li portano a vedere gli animali. I grossi animali.

Io aspettavo sempre l’arrivo dei cavalli, che sistemavano nel campo sportivo di Monsummano terme. Potevo passare lì tutto il giorno, dimenticandomi di tornare per pranzo. Mi avvicinavo. Cercavo di fare amicizia. I cavalli sono animali timidi. Sognavo di salire in groppa a qualcuno di essi.

Quando abitavo in città non ho mai visto buoi o capre e pecore attraversare i viali. Mi mancavano. Ma qui, in provincia, c’è la transumanza ed è una festa in ogni paese. Se incontro un gregge in una strada di campagna, fermo l’auto, come tutti, e lascio questo mare di lana, scorrere lungo le fiancate, guardando meravigliato dal finestrino. I malgari hanno sempre un’aria festosa. Per loro è un evento importante.

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“Al pascolo”. Quadro digitale.

Questo quadro mi emoziona ancora.

So che è una metafora. Le cose agresti e pastorali diventano facilmente metafore della vita, di uno stile di vita almeno.

Il pascolo è muoversi sul territorio, sulla geografia umana e culturale, e scoprire fonti di nutrimento e opportunità di creazione.

Nutrire il gregge è nutrire la parte animale di te, la parte più antica e segreta.

E il nomade pastore sogna di far fortuna e la notte costruisce il film della vita che desidera. L’aria e il clima dell’aperto rafforzano il corpo e il carattere.

Guardo questo quadro e mi viene da immaginare cose che farò nei prossimi ottant’anni.

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“Giocare con la sabbia”, Quadro digitale.

Da ragazzino passavo interi pomeriggi a giocare con delle spazzole e i tappi metallici delle bottiglie. Le spazzole, adeguatamente sistemate, erano delle navi e i piccoli tappi erano soldati. Le storie che inventavo per il mio gioco erano immense battaglie navali. Avevo costruito con un tronchetto di canna, uno stantuffo e un elastico, un potente cannone con cui bombardavo le navi.

Nel gioco di un ragazzino succede che lui “era” un eroe, o comunque un personaggio meritevole di vivere un film, e il gioco consisteva appunto nel “vivere” questa storia immaginata, servendosi di cose comuni (una scatola che diventava un’astronave, o un’auto da corsa, o la grotta in cui nascondersi…). Le cose comuni diventavano altro nella storia fantastica. E giocare era la gioia. Gioia e gioco sono parenti anche nel linguaggio.

Anche la vita quando diventa gioco regala la gioia. E le categorie del gioco infantile rimangono: le cose comuni diventano altro, e l’immaginazione crea il film.

È in questo modo che la gioia di vivere mette al mondo cose belle e buone. A patto, naturalmente, che si preferiscano giochi felici.

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“Il figlio”. Quadro digitale.

Credo sia comune per glia artisti. Per me è un’immagine di grande forza evocativa. Lo dico spesso agli amici: “Mi sento sempre incinto!”. È una benedizione. Spesso mi chiedono: “Come fai ad essere così produttivo?”. Non lo so. Mi sembra che qua dentro ci sia un mondo di cose che vogliono uscire fuori.

Mi fa sentire vivo. A volte è caotico. I disegni ruzzolano fuori impetuosi, senza guardarsi allo specchio, senza consapevolezza. Ma portano con loro un senso di abbondanza. Di ricchezza.

All’inizio della mia vita da pittore un critico torinese voleva darmi buoni consigli. Uno era: “Non devi fare troppi quadri. Fanne pochi, saranno più preziosi”. Ma come credergli? Qui si ha a che fare con un’urgenza irresistibile.

Questa fecondità è un gran dono. Ne sono grato.

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Al Crown Plaza di Roma, due anni fa.

C’era questa esplosione produttiva. Era meraviglioso. Esprimersi con quella passione mi faceva estremamente bene. Ma non era tutto. Ben presto avevo la casa piena di quadri e cominciavo a realizzare che ora bisognava incontrare il pubblico. Dovevo esporre.

La strada classica delle gallerie e del catalogo, del mercante e via discorrendo, non mi piaceva e, del resto, non avevo i soldi necessari.

Per un certo periodo sono andato nelle salette comunali, dalla Valle d’Aosta alla Liguria, dal Piemonte alla Lombardia, dove potevo arrivare con la macchina carica di quadri. Poi un amico mi suggerì i locali (ristoranti, bar, vinerie, alberghi…) e fu quella la mia scelta. Non costava niente e i miei lavori avrebbero incontrato un mare di persone.

È cominciata così. Un po’ per volta estesi l’area, soprattutto dopo che incominciai a esporre negli Holiday Inn del Nord Italia. Arrivai fin a Quarto d’Altino che è una porta su Venezia. E due anni fa ho portato cento Guarini al Crown Plaza di Roma.

Negli ultimi tempi ho comprato un camper, che rendeva più agevoli (ed economici) tutti questi trasferimenti.

È stata un’esperienza bellissima. E ho venduto più di mille e seicento quadri, sparsi per tutta Italia, con puntate in Svizzera, Germania e Francia. Ieri, per esempio, ho venduto un quadro a Budapest in Ungheria.

Un sito Internet per parlare con il mio pubblico teneva vivo il mio rapporto con le persone. Oggi Facebook è il luogo dove la comunicazione con i miei amici è quotidiana e dove posso percepire in una certa misura la reazione ai miei lavori.

E oggi che ho le gambe che non funzionano (ancora) tanto bene, questo spazio sul social è diventato ancora più prezioso.

Categorie: Eugenio Guarini