Lettere da Nosolandia 2

Lettere da Nosolandia 2

(Nosos, in greco: Malattia. Da cui Nosolandia: la Terra della Malattia)

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Ritornato a casa dopo una ventina di giorni di ricovero in ospedale. Le gambe vanno un po’ meglio, anche se molto insicure.
È bello ritrovare le proprie cose. Rimettono in contatto con la propria vita.
Ma all’ospedale è emersa anche un’altra dimensione della vita. E sono nate relazioni particolari. Quelle che sorgono dalla solidarietà nel dolore e nella malattia. A me hanno fatto bene.
Inoltre, si è rilevata l’importanza dei social. Ogni giorni mi arrivavano, attraverso Facebook, segni di affetto da parte di tanti amici. In quell’ambiente, povero di stimoli, era molto confortante poter comunicare con gli amici.
E ho capito anche che una gran parte delle mie relazioni di Facebook non sono così virtuali come si potrebbe pensare. Ho capito di aver usato bene Facebook: come uno strumento per rapporti reali e una comunicazione reale.
La malattia non è del tutto debellata, ma a casa il raggio di azione si estende. E voglio risvegliare la mente e l’operosità.
Io amo la vita.

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Insomma, la devo dire tutta. Ormai me lo chiedono in molti in privato.
Ad aprile mi è stato diagnosticato un linfoma. Ho fatto una chemioterapia, che ho sopportato abbastanza bene, finché gli effetti secondari dei farmaci hanno prodotto un dolore acuto alle gambe e un afflosciamento dei muscoli. Ho incominciato a cadere e mi hanno ricoverato in Neurologia, a Ivrea. Ora sono di nuovo a casa, dimesso perché un poco in piedi mi reggo. Ovviamente ho un’operatività piuttosto limitata.
Ma qualcosa riesco a fare. Soprattutto ho ritrovato le mie cose: i libri, il computer, la rete, i programmi di disegno. Una gamma di stimoli più ricca di quella che avevo all’ospedale.
Il dolore è sotto controllo grazie a Contramal e un altro farmaco neurologico. Ho un paio di stampelle per maggiore sicurezza.
Dentro, ho conservato un discreto buon umore. A letto, dove passo ancora la maggioranza del tempo, ho l’Ipad, il cellulare, il taccuino, alcuni libri. Quando mi alzo, riesco a raggiungere la comoda sedia davanti al computer. Con una certa attenzione riesco a cucinare (oggi ho fatto pollo e patate in umido nella pentola a pressione). La spesa me l’ha fatta mio figlio Jacopo, che vive in un alloggio qui vicino. Durante la mia assenza lui e mia figlia Chiara hanno dato una ripulita al mio alloggio e me lo hanno fatto ritrovare luminoso.
Ho pensato spesso alla mia esperienza ospedaliera. Alla gentilezza del personale. Alle amicizie stabilite con alcuni pazienti. Qualcosa di fraterno, nato nella solidarietà suggerita dalla malattia.
Anche a qualcosa che fa parte, come mi hanno spiegato, della Medicina Narrativa. Nella mia camera è stato portato un uomo di 86 anni, affetto da un ictus che lo ha semiparalizzato sul lato sinistro e bloccato in diverse funzioni. Un uomo di grande vitalità, che esprimeva nelle urla e nel lamento che durava tutta la notte. Una sera, zoppicando, mi sono avvicinato al suo letto e sono riuscito a entrare in contatto. Ho incominciato a fargli raccontare qualcosa della sua biografia: ha studiato a Valdocco, dai Salesiani, falegnameria. Durante il 25 aprile del ’45 ha tentato di lasciare Torino per raggiungere il suo paese, il treno su cui viaggiava è stato mitragliato da un aereo, e via discorrendo. Perché racconto questo? Perché è successo che, mentre raccontava, con un discorso a cascata, sembrava essersi completamente dimenticato del dolore. L’ho trovato straordinario. Il potere della narrazione autobiografica.
C’è qualcosa di cui, nella misura in cui mi sarà possibile, mi occuperò in futuro.
Per il momento voglio che i miei amici sappiano che sono sereno e ho una grande voglia di guarire.

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La mia amica Natascia, a proposito di Medicina Narrativa, mi ha tempestivamente segnalato i libri di Eugenio Borgna, psichiatra. Sono andato a cercare le sue conferenze su Youtube. Ne ho ascoltata una, che ha il titolo di uno dei suoi libri: Le emozioni ferite.
Ho annotato alcuni pensieri che hanno attratto la mia attenzione. Li segnalo perché credo che meritino di essere condivisi.
• Non dobbiamo spaventarci della depressione, dell’angoscia e nemmeno dell’affiorare della morte nella volontà di procurarsela. Dovremmo piuttosto spaventarci dell’indifferenza di fronte alla sofferenza.
• Non c’è conoscenza se non si conosce la sofferenza.
• I discorsi razionali non riescono a penetrare il muro della percezione. Pochi discorsi razionali possono mutare le emozioni. Molte emozioni condizionano profondamente la ragione.
• Pensare insieme a coloro che soffrono è una forma più completa di pensiero e aiuta a creare una situazione terapeutica.
• Grazie Natascia. Grazie dottor Borgna.

Categorie: Eugenio Guarini