La sociologa e lo zio Piero

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Curare la casa della scrittura, addestrare il corpo al lavoro che questa comporta, educarsi al piacere di raccontare, soddisfare le attese del lettore che è in me, prendere il ritmo giusto per comporre: sono le tappe di questo piccolo itinerario della mente come risposta a un’urgenza che in qualche modo e per qualche ragione s’impone alla mia attenzione. Ci sarà qualche nuova intuizione, oggi?

Mi metto per strada con la speranza di nuovi eventi. Parcheggio sulla piazza Donatori di sangue di Locana, m’incammino di passo cadenzato per la strada che sale a La Cialma. Nessuna idea folgorante, nessuna eccitazione mentale. Tuttavia incrocio una giovane donna a poche centinaia di metri dalla borgata Montigli. Magra, longilinea, un taglio corto di capelli e gli occhi chiari. Quello che mi incuriosisce è che legge un libro mentre cammina. Taglio corto con ogni esitazione e le rivolgo la parola. Lei si ferma e accetta la conversazione. È una sociologa che lavora all’Università di Torino e sta leggendo un libro sull’evoluzione della tecnologia. Il titolo è audace: La natura della tecnologia, di Brian W. Arthur.

Tutte le tecnologie, anche le più innovative, sono sempre costruite su altre già esistenti e riadattate per nuovi obiettivi, in un processo cumulativo e inarrestabile che ricorda l’evoluzione biologica delle specie viventi. Questa la tesi dell’Autore. Cos’è allora la tecnologia? Sono i radar, i semafori, la forchetta, le automobili, le matite, il chip in silicio. È l’uso del fuoco, è imparare a volare.

Lia – questo è il suo nome – parla con il bagliore negli occhi degli studiosi appassionati e io cerco di trattenerla. Mi racconta che si è laureata in Lettere, con una tesi sull’accoglienza ricevuta dalla Coscienza di Zeno di Italo Svevo. La filosofia le interessava, e le piacevano soprattutto certe figure border line, come Giordano Bruno. Non solo le idee ma la vita dei filosofi. Poi si è decisa per un passaggio di facoltà, dedicandosi allo studio delle organizzazioni industriali, soprattutto al tema della fabbrica intelligente. Le interessa mettere a fuoco il rapporto tra le risorse umane e il processo di robotizzazione in atto.

Le dico che sono un ex docente di Filosofia e che faccio il pittore. Che sto raccogliendo materiali, storie, su personaggi singolari, in qualche modo significativi dei tempi, giovani che si inventano un’attività sulla terra, o nelle valli. Anche lei mi parla di fenomeni analoghi nelle Valli di Lanzo: trentenni, quarantenni, che s’inventano attività artigianali per rimanere in valle, invece che cercare lavoro in città o nell’industria come dipendenti.

Le chiedo di diventare amici su Facebook per restare in contatto e lei accetta. Lia passa il mese di agosto a Montigli con il suo compagno che vi possiede una casa e ne approfitta per leggere, scrivere, studiare.

Ci salutiamo e scendo al camper, mangio una scatola di fagioli neri, un pomodoro e una scatola di tonno. Con un senso di delusione addosso torno a casa.

La vita non può essere tutti i giorni eccitazione, intuizioni, slanci. D’accordo, ma… Vorrei poter fare qualcosa per cambiare questo stato d’animo insoddisfatto. Vorrei che accadesse qualcosa, qualcosa di bello, qualcosa che desti il mio interesse, il mio desiderio.

Lo zio Piero.

  • Questo è pensare da adolescente, da bambino. Non puoi pensare alla vita come a un gioco dove sei sorretto esclusivamente dal piacere.
  • Picasso diceva…
  • Cazzate! Picasso lavorava sodo, con i piedi per terra. Sapeva come vendersi. Sapeva giocare un ruolo sociale. Danzava con i tempi, e pensava in maniera molto concreta.
  • Si tratta di lavorare per il dovere?
  • Si tratta di fare la cosa giusta. Non solo quando piace, ma anche quando non piace, quando in bocca c’è sapore di un chiodo arrugginito.
  • Ma io…
  • Tu hai deciso di fare i conti con il mondo per dei risultati reali o solo di gingillarti con ciò che fa piacere, anche se si tratta essenzialmente di autoerotismo?
  • Stavo cercando di capire come aver cura della casa…
  • Ma guardati attorno. Guarda alla tua casa reale, alla tua casa concreta. Ne hai cura? Come ne hai cura? La tratti come la cameretta di un adolescente. È il luogo del tuo divertimento. E, infondo, non t’importa molto di migliorare la tua situazione economica. Quello che t’interessa è restare a fare i tuoi giochi.
  • Sto cercando di trasformare il lavoro in gioco, il dovere in piacere…
  • No, tu stai cercando di seguire solo il piacere, stai cercando solo il gioco, dimenticando cosa vuol dire lavorare. Fai marcia indietro. Ritirati dai tuoi sogni frizzanti, piuttosto masturbatori, e metti i piedi per terra, nel mondo reale.
  • Non è vero. Io sto cercando di imparare la scrittura. E questa è una cosa concreta. Questa è un’abilità, un saper fare. Io voglio imparare a saper fare. Non è una cosa astratta, o solo autoerotica, per il fatto che non ho un contratto con un editore, o non ho un piano di pubblicazione. È l’aspirante pianista che si esercita alla tastiera. L’abilità è una cosa concreta.
  • Beh, sì, l’abilità è una cosa concreta…
  • Ma tu non hai tutti i torti. Ho bisogno di una ramanzina, talvolta, per uscire dall’illusione che tutto sia dolce e tenero. Per uscire dalla bambagia che io stesso mi preparo.

 

Lia portava una camicetta estiva di mussola con una leggera scollatura. La figura e il passo indicavano che era una donna giovane. Qualcos’altro in lei, una certa disinvoltura, rivelava che non era più una ragazzina. Avevo voluto vedere il libro che leggeva. Le avevo chiesto di riassumermene la tesi. Avevo voluto conoscere il suo percorso formativo. Perché?

 

Eugenio

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