Quella strana sensazione

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Il quadro: Si esce con un cuore più grande.


Quella strana sensazione


In diversi avevamo quella strana sensazione. Cercavamo di metterla a fuoco. Di darle dei contorni con le parole del nostro vocabolario. Perché così ne avremmo potuto parlare. Forse, perfino azzardarne il significato. Che so io, farne qualcosa di buono, utilizzarla per crescere, o andare avanti… era tutto da definire, appunto.


Noi capivamo che le sensazioni si creano là sotto e hanno già la loro identità, non sono un magma senza forma, non sono destinate a confondersi tra loro, necessariamente. Sono delle identità specifiche. Ma solo se si riesce – come dire? – a vestirle in qualche modo con delle parole appropriate.


Perché, altrimenti, le parole stesse le possono confonderle, metterle tutte insieme, fare di ogni erba un fascio. Se le parole sono affrettate, è proprio quello che succede. È come se tu te la volessi sbrigare in fretta, perché hai altro da fare, di più importante. E tutto resta impasticciato.


Ma poi giri e rigiri sempre negli stessi percorsi e diventi ripetitivo, e te ne accorgi quando senti appunto quella sensazione di cui sto parlando.


E non è solo la noia della ripetizione. Non solo di questo si tratta. A volte arrivi fino a un punto avanzato che diventa malessere, malattia, perfino. Stai male. È questo che voglio dire. Non solo disagio o noia, proprio malattia. E questa prende la sua strada e scivola dentro il corpo per i suoi itinerari e diventa qualcosa di visibile per i medici, per i chirurghi, e tu la devi affrontare con  farmaci e interventi. Non è più solo qualcosa che puoi gestire con i pensieri, con i tuoi umori, con la fiducia, e i sentimenti…
Bene, si tratta appunto di questo.


E noi, in diversi, si sentiva questa sensazione curiosa, inquieta, che non ci lasciava sedere tranquilli, o distendersi sul letto, o camminare in pace lungomare o per le strade di campagna.
Noi eravamo d’accordo che tutto questo significava che le cose così come andavano non erano più soddisfacenti. Che era successo, senza che ce ne accorgessimo, che tutto si era guastato, o che noi stessi avevamo mutato.


Non si stava più bene così. Bisognava uscire, andare all’estero, emigrare, lasciare casa, esplorare altri sentieri, trovare altrove la via della nostra vita.


Una delle cose che ci dicevamo più frequentemente era questa: verrà il giorno in cui si comincerà a vivere davvero! Perché finora sembrava che ci fossimo solo preparati a vivere.


Cosa aspettavamo? Di vincere al Superenalotto? Di prendere una decisione esistenziale? O tutte e due le cose?


Noi volevamo imparare qualcosa – dopo tanto tempo. Qualcosa ancora, dalla vita. Forse la vita aveva atteso dietro la porta che noi esaurissimo tutta una serie di esperienze, di giri di giostra. Paziente, aveva atteso.


Ma ora si faceva avanti, in quel modo. Con quella strana sensazione. E noi pensavamo che ci doveva essere una nuova nascita. Che guardandoci dentro scoprissimo che le cose che dicevamo di amare, in realtà non le amavamo più da tempo. E che c’era altro da immaginare per vivere la vita che volevamo per noi. Altre cose, altri modi, altra attenzione. E che era il momento di lasciarle venire alla ribalta, anche se sembrava del tutto folle, irrealistico, inconcepibile, paradossale…


E trovare la forma giusta dell’animo per cambiare, decidere, partire…

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