L’odore della cosa

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Il quadro: Au clair de la lune. Acrilico su tavola, cm 210 x 90


L’odore della cosa


A dire il vero io adoro quelle persone che intraprendono con coraggio. Voglio dire quei ragazzi e quelle ragazze che hanno un chiodo fisso in testa e non c’è santi che tenga, sono sempre lì a martellarci sopra e le inventano tutte e si esercitano in continuazione finché diventano sempre più bravi, speciali, unici, in quello che hanno scelto per sé, ascoltando un  richiamo interiore.


Finché si aprono uno spazio sulla scena del mondo, anche se sembrava un’impresa impossibile, e diventano un modello, un richiamo, una speranza…


Quando li incontro, mi si riaccende il fuoco dentro e tutte le remore legate a qualche forma di paura vengono bruciate. Evaporano nella combustione.


E, d’altra parte, adoro quei tempi della vita, che mi prendo con determinazione – come si trattasse di una questione di vita o di morte – in cui tutto sta già, immobile nell’eternità, e dove posso respirare a pieni polmoni il fiato nutriente del tutto, il riposo non turbato delle profondità, dove non ha alcun senso né agitarsi, né desiderare, perché è tutto spalancato nel palmo della mano. E dove sembra che nemmeno tu ci sia più.


Quando sono in questa vacanza del cuore tutto quello che ordinariamente faccio diventa un nulla. Ed è, invece, il silenzio denso dell’aria, del cielo, dei passi sulla strada, il colmarsi e lo svuotarsi dei polmoni, che colma ogni mia fame.


E lo so – di quel sapere così scontato e profondo che alcuni direbbero “da sempre” – che i due momenti non sono affatto in contraddizione.
Stanno, ognuno con la sua geografia, nel grande cerchio della vita.


La malattia e il disagio, quando compaiono, mi spingono verso la quiete. E una volta ricostituito, la quiete stessa mi proietta verso l’azione.


Su questo cerchio si stagliano i sogni propriamente miei. Il mio progetto di viaggio. Il mio chiodo fisso. E mi è dato di scoprire solo gradualmente dove sono diretto. Ma non senza i miei tentativi.


Nel perseguire i miei obiettivi, non amo pensare in termini di “tecnica”, di “strumenti”, di “strategie”. Perché la tecnica diventa potente solo liberandosi dal suo contenuto. Ed io sono affezionato al contenuto.


Ma in questo sono “vecchio”. Lo so. Perché oggi è lo strumento (la tecnica) che è diventato il valore. Ed è indifferente a qualsiasi altro valore, a qualsiasi contenuto.


Così pure, per me, la televisione, internet, le mail, il sito, sono ancora strumenti per relazioni reali, per fare cose reali. E la comunicazione è comunicazione di “qualcosa” da dire.


E mi rendo conto che anche questo è “vecchio”. Il virtuale tende, oggi, a diventare la realtà – come dicono molti osservatori. E la “comunicazione” è sempre più “creazione” del fatto o dell’evento che il suo “annuncio”. Anche quando non è “menzogna”.


Ci siamo nel mezzo in questo avventuroso passaggio.
E non voglio sposare le tesi catastrofiche.
È un’avventura da vivere. Una sfida da affrontare con energia positiva.
Il moralismo mi spiace.



So – invece – che si tratta di superare se stessi. Di andare oltre.


E adoro quelle ragazze e quei ragazzi che hanno un chiodo fisso e non c’è santi che tenga…
So che usano l’immaginazione e sogni, anzi li spingono oltre il consentito, oltre il confine del conosciuto, ma non per rimanere intrappolati nel virtuale della fantasticheria. Ci danno dentro, e muovono braccia e gambe, finché non si apre uno spazio nel reale, e qualcosa di tangibile e di solido esce dalle loro mani.


Mi piace la purissima bellezza dell’immagine, ma voglio sentire anche l’odore della cosa. Sono “vecchio” in questo?

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