Ricerca interiore

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Ricerca interiore


“Quello”. Aspetto quello. Cerco quello. Prego per quello.


Ricordo quando ho scoperto il potere del pronome dimostrativo. “Quello!” È il primo gesto. La prima mossa. Il primo orientamento del cuore. Anzi, della mente. La mente ancora vuota di parole, di occhiali, di dettagli importanti. Dice: “Quello”. E già la prua della nave punta in una direzione.


“Quello” è freschezza, è letizia, è una sorta di innocenza riconquistata, o ricevuta nuovamente in dono. Una seconda innocenza. Quell’innocenza che ti visita da adulto o da vecchio. Ha tutto il sapore della consapevolezza. Ogni suo aspetto diventa piacevolmente esteso e tonificante. “Quello”.


Voglio aver cura del tempo.
Anch’io ne ho perso molto, con tante occasioni, opportunità.
Viene da rimpiangere, da pentirsi.
Sì, mi pentirò, ma senza rimpianti.
Non voglio la paralisi del rimpianto.
In fondo, è come se fossi nato proprio ora. E il tempo che resta è il tempo che c’è. Quello che ho davanti agli occhi.
“Quello” è il tempo che viene a me, fresco e nuovo. Con i vagiti di inconsapevole certezza di esserci.


“Quello” è dove mi porta il desiderio prima ancora che diventi consapevole a se stesso. Dove sono destinato – si potrebbe dire – non senza cautela.
Dove le cose e l’universo mi orientano. Veramente quello.


“Quello” dice anche: no, no, no…
Tanti no a richiami o visite che non hanno il sapore delle bollicine. Le tipiche bollicine della freschezza.


“Quello”: è là che voglio andare, che desidero, che prego.


E mentre vado in quella direzione, m’interrogo anche e interrogo, acciocché quello si mostri e mi parli di sé. Che mi parli di sé perché io possa parlare di me.


Non parlatemi solo di sesso, neanche tantrico.
Non parlatemi solo di denaro, nemmeno come energia.
Non parlatemi solo di mercato, neanche come comunicazione.
“Quello” è molto di più. Anche se non vedo il suo volto chiaro, quello sa già che è molto di più.


“Quello” è qui vicino. Non è lontano come la sua non visibilità potrebbe far pensare. È vicino come il Regno dei Cieli. Lo si potrebbe toccare allungando la mano. Un “da qui a lì” potrebbe bastare.
È come il profumo del caprifoglio nel bosco, anche quando non vedi la pianta.


Dicendo “Quello” io lo cerco servendomi della parola. E va bene per adesso. Così come sono. Dove sono e in risposta a questa domanda che mi abita così intimamente.
E so che la parola non lo potrà mai imprigionare. Mai rinchiudere in una gabbia. Meglio tenere la mano aperta e allargata, come nell’acqua. Perché è solo lasciandolo scorrere che lo puoi sentire. Se stringi, è il nulla ciò con cui ti ritrovi.


E io non stringo. Dico: “Quello” è ciò che desidero, che cerco, che prego. E lascio la mano allargata, la parola nella sua modestia – eppure tanto audace.

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