La Grande Madre

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La Grande Madre.


Mi ha indirizzato il pensiero in questa direzione una mail di Piero, scritta ieri notte, ma letta solo questa mattina. Lui parla – in maniera straordinariamente bella dal punto di vista letterario – di una zia e dell’effetto di rassicurante pienezza che la sua presenza irradiava nella sua vita da bambino. Dopo la morte di lei, il bambino-uomo diventa inquieto e aggressivo. Ha perso il senso di essere amato e protetto. È diventato solo e la vita si è rivelata una giungla.


Il grande seno della donna che nutre.


Ci sto pensando.


Mi sembra di poter dire: un tempo sono stato nel ventre di mia madre. Pensava a tutto lei. Io vivevo senza dovermi occupare di nulla. Sono nato col forcipe. Sarà un segno che non volevo uscire? Mi hanno tirato fuori a forza. Altrimenti sarei morto.
La Natura è dura in questo discorso. Il ventre che ti ha concepito e nutrito, a un certo punto ti espelle, violentemente, fuori, nel mondo.


La tua vita inizia come espulso dal territorio che era la tua patria. È come esule nel mondo che tu diventi qualcuno. E scopri – e costruisci – il tuo potere e la tua forza. Ma sempre con la nostalgia del paradiso perduto.


L’ambiguità della figura della madre.
Quella che ti ha concepito, nutrito e ti ha espulso.
Quella che ti potrebbe trattenere e soffocarti, fino alla morte.
Quella che ha creato l’archetipo di un luogo paradisiaco la cui mancanza ti spinge a cercare e costruire.


E dopo il ventre, il seno.
Chi soddisferà la tua fame?
Chi colmerà il tuo vuoto di nutrimento fino allo stordimento?
L’ambiguità del seno materno. Ti nutre e tu hai energia per vivere la tua vita. Oppure ti riempie fino allo stordimento e tu rimani bambino.


Il dolore della separazione e della perdita segna il passaggio, ogni passaggio. Ad ogni passaggio è come essere espulso da una situazione piena, ma diventata a rischio di soffocamento.


E c’è il momento in cui tu stesso ti separi, consapevolmente, dalla nostalgia della Grande Madre. È il momento in cui decidi che tu stesso ti farai da madre. Ti darai il nutrimento e il conforto necessario per continuare la marcia, il lavoro, la realizzazione del progetto e del sogno. Ti conforterai tu stesso, senza aspettare che qualcun altro se ne faccia carico.
E imparerai a diventare Padre. Uno che sa di poter provvedere a qualcun altro. Perché è diventato madre a se stesso. Ha imparato a vivere nel deserto. Ha trovato il modo di sostenere se stesso nel momento della perdita.


Congetturo in questo modo: maschio o femmina, il nostro itinerario è questo. Avere una madre che ci nutre e che ci espelle, o da cui partiamo. Imparare a farsi da mamma in prima persona sfuggendo alla nostalgia regressiva. E diventare in questo modo padri. E come tali fecondare la vita.


Ma pensa dove mi ha portato il pensiero, questa sera!
Un abbraccio ai miei amici.

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