Marea montante

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Il quadro: Marea montante, acrilico su tela cm 100 x 100.


Marea montante


Una corrente impetuosa sta attraversando la mente di un numero crescente di persone intente a ripensare il lavoro. Essa contiene una pretesa audace, impensabile anche solo pochi decenni fa. Un sogno che fa scuotere la testa a quelli che la sanno lunga come solo i folli vaneggiamenti degli adolescenti riescono a provocare.
Si tratta della pretesa di creare un lavoro in cui guadagnarsi il pane si sposi con la libera espressione di sé e con una vita significativa. È la pretesa di sottrarsi alla pressione dell’idea dominante che per guadagnare e far fortuna bisogna vendere l’anima.
È un’esigenza che nasce da un bisogno che emerge nell’interiorità come diritto a realizzare il proprio sogno, ad evolvere come persona, a godere dell’essere al mondo, a scoprire e coltivare le mille sfaccettature dell’esistenza, evitando che il lavoro sia la proibizione di queste aspirazioni, pretendendo, al contrario, che il lavoro sia il luogo che consente a tali aspirazioni di raggiungere l’effettualità.
Tale esigenza utopica sta cercando in mille rivoli la strada che conduce alla realizzazione. “Da qui a lì”, significa dall’interiore all’esteriore. Il che porta ad immaginare il lavoro come ad un’opera d’arte, all’organizzazione di un mondo reale e concreto attorno alla propria visione.
È una delle maggiori sfide dei nostri tempi, che accoglie in sé tutte le aspirazioni più avanzate della coscienza contemporanea, dalla cura del pianeta alla salute, dall’economia etica alla spiritualità sviluppata, dall’impegno per la pace allo sviluppo della creatività…
È un processo ambizioso che tenta di coniugare armonicamente la vita contemplativa e il sentire (Oriente) con l’attività efficace (Occidente).


L’ho detto in maniera un po’ altisonante, ma è questo, a grandi linee, il quadro entro cui disegno la mia avventura d’artista. Ci sono immerso fino al collo. E, a dirla tutta, quest’avventura mi piace e mi avvince tremendamente.


Quando posso dire con sincerità, a me stesso e agli amici, che sto vivendo esattamente come voglio, che faccio quello che amo e che quest’avventura è proprio la mia, mi gonfio di fierezza e avverto il tremito del significato.


Gradualmente ho riorganizzato il mio mondo attorno alla mia visione, cominciando da ciò che era a portata di mano: il mio tempo, la mia casa, il mio laboratorio pensatoio, il bosco, la mia alimentazione, la pittura, la scrittura e le mie relazioni con gli amici e con la gente.
Ho portato delle grandi semplificazioni alla mia vita: nei bisogni materiali, nel consumo, nelle vacanze, nel vestiario eccetera – per essere più libero. E mi sono impegnato molto e con piacere nella vita interiore, nel pensiero, nella creatività, nella ricerca di alternative, nell’immaginazione.


Mi sono reso conto che abbiamo tutti sviluppato molto la capacità di agire masticando ruggine, portando sulle spalle il peso delle richieste dell’organizzazione del lavoro, sacrificando il diritto di avere una vita in proprio – consolandoci magari con divertimenti oppio, che intorpidiscono e ottundono.
Ma che non abbiamo sviluppato abbastanza la capacità di agire seguendo la nostra visione, facendo ciò che amiamo e che esprime il piacere di vivere. E che quindi la capacità di fare seguendo la visione è un nano di fronte all’arte di sopportare seguendo le ingiunzioni, le minacce, il panico…


E ho concluso che dovevo pareggiare i conti.
Cominciando da quel lavoro interiore – inimmaginabile a molti completamente assorbiti dall’attivismo – che consiste nel coltivare e sviluppare la propria visione e fare in modo che innervi i movimenti dell’operosità alla ricerca di risultati.


C’è una convinzione serpeggiante, anche nelle nostre teste, che sostiene che le persone spirituali non se la cavano bene nella vita reale, non faranno mai affari, non diventeranno ricche…
Non vi pare che sarebbe il momento di dimostrare che è una balla?

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