Elogio della spontaneità

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Elogio della spontaneità

Uno degli aspetti che mi piace di più nella mia situazione di vita è che non ho problemi se voglio vivere la mia spontaneità a ruota libera. Non ho capi che esigano da me un certo comportamento, né standard rigidi di etichetta come ci sono in certi ambienti di lavoro, non ho nemmeno una partner convivente con cui mediare il modo con cui tengo la casa, sai, voglio dire, le riviste per terra, i libri accumulati in cucinino, e un cestino di frutta esotica al posto del vaso da fiori sul tavolo di lavoro.
E nelle conversazioni con le amiche e gli amici, mi piace lasciar fuori della porta qualsiasi cosa sappia di studiato. Esprimo i miei sentimenti e le mie emozioni e mi rendo conto che la mia spontaneità scioglie rapidamente le cautele dei miei interlocutori. Ma, soprattutto, mi sento. E sento il piacere della vicinanza e dell’empatia che la spontaneità suscita magicamente. Questa è vita, amici miei.
E anche negli affari – chiamiamoli in questo modo – se m’interessa che i miei quadri siano venduti, m’interessa moltissimo avere degli amici e non semplici clienti. Amici con cui stabilire vicinanza, empatia, intimità.

Nella storia della mia spontaneità un momento decisivo è stato la nascita del mio terzo figlio. Ne parlo spesso e probabilmente questa la conoscete già. Ma quel momento in cui Jacopo m’è nato quasi in mano e me l’hanno dato da pulire e da spalmare col balsamo, quel momento è stato un passaggio decisivo. Per quello che ho sentito toccando e per quello che mi sono dato il permesso di sentire e coltivare tenendolo sul corpo gli anni successivi.
Ne parlavo anche oggi, con la nuova amica Sabrina, a Bologna. Certe storie sono importanti e ti ritornano sempre in mente.

Un motivo per cui la competizione, negli affari e nella vita intera, non mi attira è che la competizione non consente vicinanza, empatia, condivisione di emozioni. E sinceramente, adesso, mi appare perfino ridicolo il giochino di volersi sempre confrontare con qualcuno ed essere meglio di…
È lo stesso motivo per cui non amo gli ambienti accademici, né gli ambienti troppo sofisticati.

Come tutti i miei amici sanno, amo tantissimo la riflessione, il pensiero. Cristina, da Roma, mi scrive che sono molto “nella mente”, per esempio. Ed è vero. Ho una passione autentica per mettere in parole e in concetti ben formulati le cose che affiorano alla mia consapevolezza anche grazie a questo lavoro di riflessione. Ma sono convinto che il mio stile di riflessione non ha niente di astratto e di aprioristico. Niente che l’anteponga alla spontaneità. Ed è quello che deve essere come dice lo stesso termine “riflessione”. Se deve riflettere, bisogna che rifletta qualcosa che avviene prima di lei. In soldoni, prima vivi spontaneamente e poi riflettici sopra – per imparare, per ribadire, per fissare a fondo le cose che hai scoperto movendoti spontaneamente.

Perché la spontaneità non è un semplice istinto rozzo. La spontaneità è un arte, un’arte vera e propria, che si coltiva e si sviluppa esercitandosi con passione e con gusto e anche riflettendoci sopra, per prendere consapevolezza delle direzioni giuste che prende il torrente.

E poi, insomma, per non farla troppo lunga, anche quando penso ho adottato questo stile molto semplice, spontaneo e soddisfacente: i pensieri vengono da soli e le parole soltanto li afferrano al volo e li rivestono nella maniera migliore di cui sei capace.

E credo che sia anche per questo che trovo un gran piacere a parlare con le donne. Perché le donne sono per lo più il miglior interlocutore esistente in fatto di spontaneità – fatte le debite eccezioni.

E ora mi domando se la vita d’artista non mi piaccia soprattutto per questo primato che riserva alla spontaneità.

IL QUADRO. Si chiama “Sposo me stessa”.
PS. Non so per quale motivo, ma questa sera il pannello di amministrazione della newsletter non mi consente di formattare il testo. Misteri dell’informatica. La spedisco così.

Categorie: Eugenio Guarini