Da dove la Qualità della Vita?

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Da dove la qualità della vita?


Cercavamo, pensandoci, di mettere le cose in chiaro.
Voleva dire, rappresentarci in qualche modo quello che capitava, là sotto.
Perché era una questione di distanza. Lo chiamavano “distacco” da qualche parte, nella tradizione.


E una sera, con Sheila, giungemmo a questa conclusione.  Ora ve la racconto. Lo sapete, a dire queste cose, si forza sempre un po’ il linguaggio.


Disse Sheila: Noi umani, siamo esseri d’immaginazione.
Il che, più o meno, voleva dire che i nostri comportamenti, quello che facciamo, e quello che speriamo, e quello che desideriamo, dipendono da idee e pensieri che abbiamo in testa.
In altri termini, il nostro mondo, la qualità della nostra vita, nasce dai pensieri che coltiviamo. In questo senso, tutto dipende alla mente. O dal pensiero.
Cioè, non è vero che viviamo immersi ottusamente nel mondo oggettivo. Ma alle cose che capitano, agli eventi, noi diamo la forma che immaginiamo nella testa.


E questa roba che avviene nella testa noi possiamo coltivarla. Ci possiamo mettere le mani sopra e dargli una forma, se vogliamo.
Sant’iddio!, la qualità delle nostre esperienze, di quello che viviamo e di quello che facciamo, può essere generata dai pensieri che scegliamo di coltivare.


Per la miseria, quest’idea che tutto dipende dalla mente, era un’idea che serpeggiava un po’ dappertutto, a quei tempi. Lo sosteneva il cognitivismo psicologico, qui, in Occidente. Ma lo dicevano con grande enfasi anche le filosofie orientali che si diffondevano come un’epidemia influenzale e conquistavano gli animi.
Da noi, c’erano alcuni maestri che pensavano di aver trovato in questo la formula magica per il potere: fare fortuna, fare business, avere successo era ormai a portata di mano. Una sorta di lampada di Aladino.


Ma noi, ontonauti, non accettavamo questa ipotesi da superuomini. Noi conservavamo la consapevolezza che tutto accade, e che la vita dell’universo ha il suo mistero che s’impone.
Però, eravamo d’accordo nel lavorare sui nostri pensieri. Perché eravamo d’accordo che la qualità della nostra vita dipende da questo lavoro.


E Sheila – che in questo era maestra – disse che i nostri pensieri avvengono, esattamente come la meteorologia, e gli eventi del telegiornale. I pensieri avvengono. I nostri pensieri dunque non sono ancora nostri, finché non li scegliamo. Si può pensare di tutto. Tutto può essere accolto ed osservato. Ma poi dobbiamo decidere con quali pensieri coltivare la nostra anima. Perché da questo dipende quello che facciamo e come lo facciamo.


Dunque, noi ontonauti, ci trasformammo in osservatori dei nostri pensieri. I pensieri non ci rapivano più d’acchito. Li guardavamo avvenire. E sceglievamo.
Alcuni non promettevano bene, anche se a prima vista sembravano intriganti. E imparammo a lasciarli passare. Altri ci riempivano il cuore di speranza e di desiderio. Avevano la capacità di disegnare orizzonti bellissimi di fronte ai nostri occhi. E noi imparammo a sceglierli consapevolmente.


Lasciavamo tutto fluire. Perché la vita è così. Non negavamo nulla, non avevamo proibizioni per quel che succedeva. E ci sentivamo leggeri, in questo. Immensamente leggeri. Ma non eravamo sequestrati da ciò che avveniva. Avevamo appreso il “distacco”. E sceglievamo di coltivare, di accogliere in casa, i pensieri che nutrivano le nostre speranze. Mentre lasciavamo scorrere via i pensieri velenosi.


Un po’ per volta ci allineavamo, come il tiratore d’arco, che si allinea nel gesto, e impara a far tutt’uno con lo scoccare della freccia.
Ed ecco che la vita diventava uguale al film che proiettavamo nella testa.
Come fa un direttore d’orchestra, movendo le mani in un certo modo.


Insomma, scoperto questo piccolo segreto, non potevamo più buttarci fin dal mattino, nelle cose da fare. Ma prima di fare le cose, cercavamo di disegnare nell’immaginazione quello che i nostri migliori pensieri portavano in dono.
Ed era questo il trucco che ci consentiva di entrare nell’essere.
Perché essere veri significava essere davvero. Tutto qui.


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Eugenio Guarini
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