Pensare in modo nuovo
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Pensare in modo nuovo
E ci ho impiegato del tempo a mettere a fuoco la faccenda. Prima o poi devi fare i conti con quello che rimandi continuamente. E lo rimandi perché è oscuro. Magari leggi tanti libri per avere il permesso di dilazionare o una ragionevole proibizione che ti serva da alibi . Ma a un certo punto la smetti di chiedere ad altri cosa devi fare e come devi comportarti. Semplicemente, smetti. E finalmente fai i conti con te stesso. Pensi con la tua testa. Vedi quello che hai dentro e riconosci a te, a tutto quello che sei, il diritto di essere. E lo consideri una risorsa, un talento. E dici: è questo! È esattamente questo e non altro.
Dici: questo!
Ci sono trappole nel linguaggio. S’impara a riconoscerle un po’ per volta. Betty Edwards – una maestra fantastica nell’arte del disegno – diceva: “Quando ad un bambino dici che quello è un cane, smetterà di guardarlo”. Ormai ha un nome. E col nome un concetto. E le parole si mettono insieme. La logica è il loro campo magnetico d’aggregazione. Ne nasce un quadro di significati. L’occhio si sposta sul quadro e, pigramente, non ritorna a ciò che ha visto e che potrebbe continuare a guardare. Allora nascono le definizioni, e la voglia di vivere si veste di quelle definizioni come di vestiti al pranzo di gala della cultura. E ci sono i maestri di cerimonie. E i galatei. A questo punto hai perso il contatto.
Mi sto spiegando?
È dannatamente difficile mettere in parole questo pensiero quando si hanno tanti anni di scuola e di letture e di studi nel cervello.
Ancora un passaggio. Vediamo.
Quando gli antichi filosofi intuirono Questo, lo chiamarono “infinito”. Ma occhio! Oggi noi pensiamo “infinito” come un insieme pieno di definizioni iperboliche. Perfezioni e perfezioni. Per esempio intelligenza al massimo grado, potere al massimo grado, bellezza al massimo grado. In altri termini, prendiamo le cose belle e buone che conosciamo e cerchiamo di spingerle oltre, riempiendo il vuoto allargando la loro dimensione.
Lo so, sto facendo discorsi ellittici. Ma, occhio! quando i primi filosofi dissero: “Questo è l’infinito”, dissero: “Questo è il non-definito, questo è ciò che non riesco a rinchiudere in una definizione, Questo è ciò che non si lascia rinchiudere in una definizione”.
Lasciando la definizione, potevano dire solo “Questo!”, come se indicassero col dito ciò che stava davanti a loro, con la volontà di non perderlo di vista. Come sapevano sarebbe avvenuto se lo avessero chiamato in qualche modo.
Betty Edwards – grande maestra nell’arte del disegno, che è arte di guardare – diceva: “Di’ ad un bambino che quello è un cane. Smetterà di guardare Quello e vedrà un cane”.
Oh, il momento magico in cui vediamo qualcosa e diciamo: Questo!
Certo, vogliamo un nome. Perché è impossibile rimanere in sospeso tra il vedere e il non riuscire a dire.
E allora, qualcuno ci dice: questo è un cane, questa è tristezza, questo è comunicazione, questo è amore… E via! Voliamo nei traffici del mondo, perché queste mappe sono sufficienti e consentono di agire.
Ma le parole sono trappole.
Solo ritornando a guardare Questo e Quello si può sfuggire alla prigione. E rientrare nella vita. Allora, il dire le cose è come un’incessante ripresa del tentativo di avvicinarsi a Questo e Quello, consapevoli che Questo e Quello sono “infinito”, “non afferrato nella mia definizione”. Eppure, fonte inesauribile di definizioni. Un pozzo senza fine. Ma la ricchezza è lì.
Nel nostro vocabolario ci sono nomi aggettivi verbi avverbi proposizioni. Sono tutti importanti per parlare. Ci sono poi i pronomi dimostrativi: questo, codesto, quello. Questi sono utili per pensare. Per pensare davvero. “Questo” è un dito puntato verso la cosa, quello che è. Un dito puntato dice: guarda, ascolta, senti. Non aver fretta di dire cos’è. Prenditi del tempo. E dopo che avrai osato – perché ci vuole coraggio per farlo – dire qualcosa in proposito, non dimenticare di tornare indietro. Di’ “questo” e guarda, ascolta, senti.
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Titolo del quadro: Un sonno di petali.
Eugenio Guarini
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