talenti come
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Talenti come? (cronaca di una sessione di lavoro)
Lunedì, un bellissimo incontro con Bruna, al lavoro sui talenti.
Si va fuori tema. È meglio partire fuori tema. Sempre. Data la domanda, bisogna andarle dietro, e investigare attorno. Le domande ci arrivano già confezionate, di solito dalla scuola. Dalla scienza. Dal già pensato. E il conoscere vuole pensare ancora. C’è differenza tra ragionare e pensare. Ragionare è una macchina logica, che accosta, compara, connette i pezzi di conoscenza che già sono sul tavolo. Pensare è una fabbrica-invenzione di nuovi pezzi, da aggiungere agli altri, magari, forse, nuovi criteri per metterli in relazione.
Si va fuori tema per pensare. Non è facile, all’inizio. Ma ad un certo punto scatta qualcosa. E a questo qualcosa che, retrospettivamente la mente ritorna, per cercare di identificarne il segreto.
Ci ritorno, senza dubbio, anche se la faccenda ha del mistero.
Scatta qualcosa e ci rendiamo conto, quasi all’unisono, che noi parliamo dei talenti come di qualcosa che abbiamo o non abbiamo, qualcosa che è nostro. Un po’ come si parla dell’amore, come se si trattasse di un nostro potere, di un nostro atteggiamento, un nostro sentire, un nostro fare. Possiamo fare oppure non sappiamo fare. Vogliamo fare o non vogliamo fare…
Il qualcosa che è scattato nella nostra bella sessione di lavoro, ci disegna davanti agli occhi una prospettiva diversa: il talento, come l’amore è qualcosa che concerne un’economia più grande di ognuno di noi. Il talento circola nel cosmo, nell’universo. Come l’amore. E dunque è lui che ha noi, oppure c’ignora. Il talento, come l’amore ci prende.
Non vogliamo andare per il sottile, a calibrare le nostre affermazioni, altrimenti – sentiamo – perderemmo l’intuizione. Lo vogliamo inseguire con le parole che riusciamo ad afferrare in corsa. Vediamo il talento come una forza cosmica che s’impossessa di noi in certe situazioni, a certe condizioni.
Ecco, mi metto alla tastiera e suono. Prima sono meccanico, artificiale, freddino. Poi, ad un certo punto, riesco a concentrarmi, a non lasciarmi distrarre nemmeno dal fatto che sto facendo un esperimento. E arriva. Scatta la cosa. Quel non so che. Sono in zona. E tutto scivola via in maniera facile, succulenta, intensa, sentita.
Con Bruna abbiamo messo a fuoco l’importanza di quello scatto. Di quello slittamento quantico.
Sappiamo che gli sportivi parlano di “zona”. La zona è quello stato dell’essere (della coscienza, ma non solo) in cui tutto diventa fluido e funziona al meglio, al massimo, tutto è eccellente e relativamente facile. Tutto è naturale, spontaneo, eppure eccelso, sublime.
Anche nel nostro incontro di lavoro, avviene quello scatto. Prima parliamo molto razionali, abbiamo molti perché, molti tentativi di sistemare i pezzi di un discorso e di cercare nessi logici. Poi, ad un certo punto, scatta quella cosa. E noi entriamo nella parte, Quella timidezza ossequiente delle regole di prima, svanisce, e ci ritroviamo immersi nelle nostre parti. Non diciamo più dovremmo fare questo o quello: lo facciamo, lo siamo. Bruna è uno sciamano dalle maniche larghe che crea incanti in cui le persone vincono la loro ombra. Io sono un amante della vita, fecondatore degli esseri.
Ci accorgiamo che prima parlavamo di metafore e della loro funzione. Dopo quello scatto siamo diventati quelle metafore. A posteriori mettiamo a fuoco il ruolo importante della metafora. Prima usi la metafora trovando parallelismi logici. Dopo diventi la metafora e, vivendola, essendola, metti in chiaro, intuisci ed ottieni.
C’è lo scatto (quello scatto) – una sorta di salto quantico – e poi l’incanto.
Vedere il talento come una forza cosmica, che ci può possedere e guidare, introduce nelle procedure della