Qual è lo scopo di tutto questo?
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Qual è lo scopo di tutto questo?
Mi chiamo Ingrid, mi sono laureata con una tesi sulla Fisica delle Turbolenze, l’età non ve la dico – vezzo femminile. Ho deciso di confessarmi davanti a voi, non lo so neanche perché, comunque sia…
Ritorno da un viaggio in Kenia, dove ho fatto finta di essere un’esploratrice. In realtà, della geografia del posto ho esplorato ben poco. Volevo restare sola in tenda, la sera, in un luogo dove potessi restare in pace, sapete, lontano da tutte quelle cose che a Londra ti riempiono l’esistenza e non ti consentono mai di pensarci.
Tenevo un diario – non del viaggio, perché me ne importava un fico secco – ma del mio andare e venire sui problemi che costituiscono quel punto interrogativo che io sono.
Quali sono questi problemi?
Beh, sono in grado di sintetizzare – almeno questo.
Volevo un lavoro di cui potessi essere innamorata, qualcosa per cui svegliarsi gioiosa la mattina e dire, wow un’altra giornata. E questo è il primo. Il secondo problema era l’amore: volevo vivere un amore vero. Non so ancora cosa voglia dire.
Ho incontrato un uomo, una volta, più grande di me, affascinante, pieno d’energia. Qualcuno che ti dava quella sensazione di uno che vive e le cose se l’è conquistate e ha addosso uno spessore umano che non trovi facilmente. Sì, era veramente un uomo. Sai, di quelli che sono nell’immaginario di noi ragazze…
Di più. Quest’uomo mi amava sul serio. Voglio dire, lo sapete, che ti rendi conto di quando uno ti ama sul serio oppure ti sta accanto per passare il tempo e per fare del sesso, magari bene, al fine settimana.
Beh, che dirvi? Mi sono un po’ spaventata.
Di cosa? Beh, non è tanto chiaro. Il fatto è che mi sentivo attratta da lui, ma quando stavamo assieme, mi sentivo così piccola, così inadeguata. E nello stesso tempo non sopportavo che lui fosse tanto più di me. Mi capite? Avevo paura d’essere solo un ramoscello alla sua ombra.
No, non che lui facesse pesare la sua autorevolezza. Lui mi amava. Di questo sono sicura. Ero io, piuttosto… era un problema mio.
Per farla breve l’ho lasciato, sono ritornata, l’ho lasciato di nuovo e sono ancora ritornata, e poi l’ho lasciato ancora e poi sono ritornata…
Un giorno lui mi ha detto: Ingrid, ti voglio bene, ma tu non muovi il culo. E passare dieci anni a pensare come dev’essere una coppia non è proprio la prospettiva più incoraggiante. Io ti ho messo a disposizione tutto quello che sono. Vuol dire che non era destino. Buona fortuna!
La verità è che ancora io cerco un uomo grande, almeno come lui, che non mi accontento di tutte queste mezze figure, anche gentili ed educate che ti si attaccano addosso, ma che ancora ho paura di sentirmi un fuscello all’ombra di un baobab.
Quanto al lavoro, beh, qui mi sono data più da fare. E il culo l’ho mosso. Però c’è qualcosa che non mi quadra. A me piacerebbe leggere e scrivere. Ma chi mi dà da mangiare? È troppo rischioso? Sono entrata nelle aziende, ne ho cambiate quattro. Ho lavorato con i curricula, proprio con estrema attenzione, ho accettato stipendi da fame – tanto, dicevo giustamente, bisogna cominciare. Uno stipendio regolare, lo sapete. L’affitto, da mangiare, la macchina…
Ho fatto master specializzati, sono stata anche apprezzata nei posti dove ho lavorato, ma, che dire? Proprio al mattino non mi sveglio con la felicità di affrontare una nuova giornata.
Sì, abito in città, vado agli aperitivi, mi trovo con gli amici. Insomma sono moderna. Da un