Il filo rosso
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Il filo rosso
– Un botta tra le gambe – disse – Brutta troia! Che tu finisca grassa e slabbrata!
E lei se ne andò. Prese i suoi quattro stracci e uscì dalla porta. L’aveva trombata per un anno intero, quasi tutti i giorni, e non aveva capito niente di lei. Non aveva nessuna intenzione di capire. Forse, non aveva nessuna capacità di capire. Era un uomo che nel sesso non vedeva alcuna porta da attraversare. In fondo, un risentito della vita. Rabbioso perché codardo.
Ma a lei, quell’anno era servito. Aveva messo a fuoco molte cose di sé. E ora seguiva il suo sentiero. Ora, uscendo da quella porta, sentiva di aver raggiunto la sua libertà. Appartenere ad un uomo? Che sogno assurdo!
– Non voglio appartenere a nessuno. Ho io la responsabilità della mia vita. La voglio tutta. Tutta mia.
Due anni dopo già suonava discretamente. Aveva un lavoro presso un negozio d’abbigliamento. Le volevano tutti bene perché era gentile. Si occupava davvero delle persone. La sera, studiava piano. Aveva un talento naturale.
Quattro anni dopo dava concerti nel suo alloggio. Roba inventata da lei. Aveva un talento naturale. Lo coltivava. Non era cosa impegnativa, ma bella, toccava il cuore. E gli amici si rifacevano l’anima a sentirla.
Sei anni dopo sembrava un miracolo. Ne parlavano i media. Non le interessava il successo in sé, né i quattrini. Aveva un’idea in testa: la musica scioglie il cuore. Quello che non hanno ottenuto le morali, le politiche e le economie, l’otterrà la musica.
Otto anni dopo aveva fondato e ispirato il movimento Music for Pace. Aveva raccolto artisti famosi di tutto il mondo, oltre i sessanta. Viaggiavano in ogni continente, soprattutto nelle zone di maggiore aggressività. Non facevano prediche, non lanciavano manifesti. Suonavano e basta. E la musica scioglieva i cuori.
Era diventata una nostra maestra. Maestra degli ontonauti.
Ci diceva:
– Smettetela di rigirare il vostro passato, di riscriverlo da capo a piedi.
È ora di lasciare i vecchi porti. Voi avete dentro un dono. Coltivate quello. Guardate dalla finestra, verso Oriente.
Se siete donne, sappiate che anche i vostri genitori, che vi amano tanto, pensano che vi dovete sacrificare. Non credete loro. La vita non chiede sacrifici, ma slancio e coraggio.
E se vi siete attaccate a uno stronzo, lasciate che vada alla deriva.
Voi avete il cuore grande.
Non lasciatevi incatenare.
E se siete in un’azienda dove i maschi ingegneri pensano che il vostro punto forte stia nelle tette, mandateli a stendere. Sono infantili. Sarete voi a dare alla cultura aziendale il tocco della maturità. Sono le donne che cambieranno il modo di lavorare. Sono le donne che daranno agli affari la dimensione umana. Perché le donne sanno cos’è la vita e quanto valga e come sono piccoli i disegni del marketing, e i ragionamenti della contabilità.
Quando rivide Roberto, era fine autunno.
Lui aveva messo pancia, e la piega ai lati della bocca segnava storto.
Certo, ghignava ancora, e leggeva quelle stupide riviste. Era capace di fare battute sul governo e sulla borsa. Sapeva mettere le parole in croce se gli veniva bile tra le orecchie.
Era seduto al Caffè del Municipio, come al solito. E probabilmente, all’inizio, non la riconobbe.
Lei si avvicinò e lo chiamò per nome. Roberto! – disse.
Lui vide l’immagine della gioia di fronte a sé, un nucleo di energia radiosa che sembrava un altro mondo.
Sheila… – sussurrò. E gli affogò in corpo il resto del discorso.
Lei gli sorrise e passò oltre.
Lui scosse il capo. Le guance, attorno al