Intraprendere
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Intraprendere
Ci esercitavamo ogni giorno ad essere un sì.
E masticavamo in continuazione ciò che sembrava il modo giusto di vivere. Quando pensavamo di aver individuato qualcosa, quando sembrava che avessimo incontrato un’intuizione, non ci accontentavamo di infilarla in una definizione. La ritiravamo fuori dalle vesti linguistiche in cui l’avevamo provvisoriamente depositata e cercavamo di assaporarne nuovamente il gusto, considerandola ancora una volta, alla luce della nuove esperienze.
Non volevamo una coerenza alle parole. Volevamo essere fedeli alla cosa. Era come se fossimo dei pescatori che volevano mantenere il pesce pescato vivo e vegeto. Dunque la rete doveva restare nell’acqua.
Tu sei matto – diceva Karl – Ma è fantastico questo modo di procedere, di usare il cervello e le parole. Niente è mai morto qui dentro – e faceva un gesto delle braccia che voleva dire: qui, in questo ambiente, da noi…
No. Niente doveva morire della nostra ricerca. Il nostro pensiero doveva essere sempre attuale. E il linguaggio, fatto e rifatto, cucinato ogni giorno in ricette nuove. Perché il nostro occhio non era nelle parole, ma in quel che vivevamo.
Evgheny era un artista. Certamente di successo, di grande spirito, assolutamente creativo. Umanamente intenso, sprizzava energia e irradiava simpatia. Parlare con lui era un vero piacere. E Karl lo stava facendo parlare sulla programmazione. Un’impresa programma. Un’impresa vuole andare da qualche parte e ottenere dei risultati. E si prepara programmando. Di solito si fanno dei piani, si fissano tappe, scadenze, obiettivi intermedi, mezzi, risorse, strumenti, procedure. Si scrive sulla carta tutta la storia per poterla seguire come si segue un disegno.
L’impresa nasce nella testa – diceva Evgheny – L’impresa nasce nell’anima. È tutta dentro, come un sogno. È nelle molecole vibranti del corpo, nelle dita delle mani, nelle fantasie mentre passeggi nel parco, nei sogni notturni, nel respiro dei polmoni. Sì, l’impresa, innanzitutto, è il tuo respiro.
L’impresa, all’inizio, esplode come visione, come un orizzonte che apre le porte di una casa angusta, che squarcia la nebbia e fa intravedere un sentiero radioso. L’immagine di un quadro in cui ti riconosci e che getta luce abbagliante e trasporta altrove. Spesso, è un salto quantico, dal grigio e dalla pesantezza, al luminoso e alla leggerezza.
L’impresa, nel suo nascere è un sì a questa visione. In cui il tuo daimon riconosce il tuo destino e canta.
Credi, Karl, l’impresa non è all’inizio un business plan, non è un sistema per fare quattrini, non è un’idea geniale su come far fortuna. È un’esplosione dell’anima che vede il mondo che ha in grembo.
Tu sei matto – diceva Karl – Ma è bellissimo parlare in questo modo dell’impresa. Si apre l’anima. Scorre energia dentro il corpo. Il cervello batte sulla calotta.
Non bisogna mai dimenticare l’origine dell’impresa, della tua impresa – ribadiva Evgheny.
Qui la memoria attiva e coltivata gioca un ruolo di primo piano. Quando ti troverai sulle carte, quando cercherai di mettere insieme i pezzi del puzzle che da qui portano a lì, quando farai i conti, e stabilirai degli obiettivi, non ti lasciar assorbire da tutte queste importanti considerazioni. Conserva in un tempio della tua anima il ricordo di com’è nata la tua impresa, di cos’era per te, di cos’era di te. Accendi un focolare nel cuore della sala del tuo consiglio d’amministrazione. Attaccaci sopra l’immagine dell’origine. Brucia incenso ogni giorno a quell’immagine. Tieni aperto il canale segreto che ti collega con quel momento in cui hai visto e detto sì.
Karl sbatteva la testa contro la parete della stanza. E diceva: