Festival musicale
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Festival musicale.
Un giorno Fergus era provato.Stanco, con qualche disturbo intestinale. Le gambe un po’ deboli. Aveva trascorso la mattinata da solo, camminando all’ombra, vicino al corso d’acqua. Camminava adagio, respirava a fondo e lentamente. Aveva lo sguardo sereno, fiducioso. Immaginava le forze cosmiche che lo ricostruivano, che curavano le ferite e riportavano la salute dentro il suo corpo.
In queste circostanze Fergus parlava in maniera meno scattante. Si lasciava convincere a sedere e ragionare con un linguaggio più disteso.
Mi sedetti vicino a lui, all’ombra del grande cedro secolare, nel parco del castello. Incominciai a dipingere senza eccedere nei toni drammatici della voce lo scenario che vedevo. La globalizzazione, gli sviluppi della tecnologia, la concorrenza sempre più spietata, le masse dei diseredati, i poveri, le malattie, l’inquinamento del pianeta, lo sviluppo insostenibile, le divisioni, la difficile integrazione, il fondamentalismo, il terrorismo, le migrazioni, le paure, l’aggressività, la difficoltà di trovare lavoro anche nei paesi ricchi, le persistenza di vecchi modelli di comportamento, e non mi sarei fermato se non avessi visto che i segni della sofferenza del suo corpo gli stavano irrigidendo il volto…
Gli lasciai il tempo di distendere la fronte, di ritrovare il ritmo più pacato del respiro. Anche se dolorante, Fergus irradiava pace, abbandono e fiducia. Non era il Fergus dagli occhi infuocati e dai gesti bruschi e sprezzanti che conoscevamo di solito.
Allargò le mani lentamente, perdendo lo sguardo nella distesa del parco.
– Vuoi dire che si sta preparando una catastrofe, vero?
Che probabilmente sarà anche più terribile di quelle che la storia umana ha già conosciuto…E ti stai chiedendo cosa puoi fare …
Fergus trasse alcuni respiri profondi. Il malessere gli rendeva i gesti più lenti e pesanti. Si sistemò meglio, appoggiando la schiena al tronco dell’albero. E cominciò a raccontare…
– Un tempo, nel paese di Flagthorne, venne indetto un grande raduno di tutti i musicisti della regione. Anche Alvin, che suonava il violino con vera passione, vi si volle recare.
Quando giunse nella grande piazza di Flagthorne, il giovane Alvin rimase sconcertato da quello che vide. Migliaia di musicisti, con i più diversi strumenti, si contendevano l’attenzione. Nelle aree centrali c’era il bailamme più sconvolgente. Ognuno suonava il suo strumento a perdifiato, strapazzando i pezzi e perdendo il controllo sulla qualità della musica. Sembrava che si volessero sopraffare reciprocamente facendo più rumore.
In alcune aree, i musicisti passavano direttamente ai diverbi verbali. Era perfino ridicolo vedere musicisti che suonavano energicamente i loro strumenti mentre rivolgevano minacce e insulti ai loro vicini. C’era una grande aggressività nella piazza e la musica aveva perso completamente il proprio senso.
Le guardie cittadine inveivano e minacciavano, talvolta sparavano in aria i loro archibugi, ottenendo un po’ di quiete nel raggio di qualche metro, ma completamente ignorati da quelli che stavano a distanza. E dopo pochi minuti, tutto ritornava come prima.
Il pubblico, che circondava la piazza, urlava e gesticolava, manifestando in maniera scomposta la delusione, la rabbia, il disappunto.
Alvin era sconvolto. Era venuto a Flagthorne per godere della musica e per dare il suo contributo e si ritrovava in un inferno, in un caos. Provò a suonare il violino, ma le note che uscivano da quello strumento da cui si aspettava che il cuore si sciogliesse, erano meccanici suoni metallici, senza alcun significato, senza pathos, senza grazia. La rabbia stava montando anche dentro il suo cuore. Avrebbe voluto usare il violino come un’arma e spaccarlo sulla testa dei vicini. Deluso, arrabbiato, scoppiò a piangere.
Pianse a lungo nel frastuono generale.
Nelle lacrime incominciò a rivedere la sua storia di violinista,