Il prossimo passo
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Il prossimo passo
1
Sono felice da morire con quello che faccio. Il mio lavoro mi appassiona a tal punto che il cervello sembra un cilindro il cui pistone batte in testa. È probabile che sia un po’ fuori. Ad ogni buon conto non ritornerei nella normalità per tutto l’oro del mondo. Mi va perfino bene perché sono riuscito finora a sopravvivere vendendo le cose che mi escono dalle mani. Naturalmente so che a un certo punto il mondo si accorgerà della bellezza e del significato di queste cose e sarà un trionfo. Ma il trionfo di oggi è che faccio proprio quello che voglio, vivo come voglio. Il mio lavoro sono io che scorro nel tempo su una slitta.
Ed eccomi qui a pensare ai creativi. Penso a giovani. Mi viene spontaneo. E dunque, salta fuori Marina, questa ragazza che ho nella testa e che assomiglia a molte amiche con cui m’incontro e con cui parlo di queste cose. Ovviamente, Marina sono anche io.
Ne abbozzo sul quaderno uno schizzo. La vedo seduta sul bordo del letto della sua mansarda. Dove si è istallata per vivere e lavorare. Probabilmente si occupa di moda, forse disegna capi di abbigliamento per la titolare di una casa produttrice di vestiario che lavora per le grandi marche ma ha un suo gioco privato. A margine delle commesse che riceve, aspira a produrre una sua linea, a interpretare a suo modo dove va il mondo. E Marina è la sua pupilla. Colei che condivide questo sogno e può sbizzarrirsi a piacere.
2
L’idea si trasferisce sulla tela, come un fumetto.
Man mano che la figura prende vita, m’interrogo su questa Marina. Cerco di capire che cosa sta sentendo e cosa sta pensando. E voglio perfino curiosare sul suo passato, voglio conoscere la sua storia.
Marina ci sta pensando proprio in questo momento. Sta ricordando quando ha lasciato la casa dei suoi genitori, decisa a mettersi alla prova. Dopo il corso di design, dopo il master a Ginevra, e anche dopo la storia con Michele…
Quando è entrata in questa mansarda, che le costa 500 euro al mese, era felice e trepidante. Aveva dei sogni, ma era anche la prima volta che viveva da sola. Sentiva la mancanza di quel calore umano, di quella fisicità, che aveva un posto così centrale, prima, nella sua vita.
Ricorda il lungo periodo in cui, la sera, sentiva la mancanza di Michele, la mancanza di un uomo.
Quel letto su cui è seduta le sembrava freddo e vuoto.
C’era sto un tempo in cui senza un uomo non riusciva a immaginare di esistere.
Ma Michele aveva altre idee sulla vita di coppia. E se n’era semplicemente andato.
E lei doveva a se stessa di realizzare il suo sogno.
3
Il periodo del lutto, la digestione del fatto che era sola era stato lungo. Lungo e doloroso. Ma non aveva ceduto. Aveva lottato. Aveva creduto. E un po’ per volta, aveva capito che per essere aveva abbastanza. E che quello che la vita le donava ogni giorno, respirare, inventare, lo spazio dove viveva e lavorava, le mani e il cervello, gli amici, l’aria che respirava, le passeggiate nel parco, … tutto era già un’abbondanza tale da provare gratitudine, e gioia di essere al mondo.
Era successo tutto naturalmente, col tempo, e con la sua testardaggine a mettersi in regola con al vita per dare alla vita il suo