Metti un tigre nel motore!
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Metti un tigre nel motore!
Non mi chiedere come si fa a raggiungere il successo sulla scena del mondo, perché non lo so. Non sono un personaggio pubblico, con grande visibilità e attenzione. Non sono diventato multimiliardario. Non mi metterò a insegnare qualcosa che abbia a che fare con il successo mondano, almeno finché non sarà … successo.
Ciò in cui sono diventato bravo è qualcosa di meno appariscente, ma non meno importante. Si tratta dell’arte di rigenerare le proprie energie, la vitalità, il pensiero, e un approccio positivo nei confronti della vita, anche se non hai a disposizione un grosso patrimonio. È l’arte di avere una vita appassionata e interessante, anche se non calchi la scena del Grande Teatro.
Di fatto, sono molto fiero di quello che mi ritrovo tra le mani, questa sera. Sono ancora vivo – il che significa che ho mangiato quasi tutti i giorni – e ho una gran voglia di vivere e di creare – il che significa che non sono per nulla depresso. Ho quasi sessantasette anni e mi sento come un trentenne, anche oggi ho fatto un quadro, ho una newsletter che va a millecinquecento persone, mi scrive una valanga di persone amiche, che ormai sono entrate nella mia vita e l’arricchiscono con la loro, ho tre figli meravigliosi, un alloggio di 80 metri quadrati, e questi macchinari di moderna tecnologia che mi danno la possibilità di esprimermi e comunicare.
Ma soprattutto ho ancora sogni da realizzare.
Ho lavorato per 25 anni con i ragazzi del Liceo. Insegnavo Filosofia. La Filosofia – nella mia versione – muove il cervello, spinge a costruire mappe mentali per accostare la vita. Mi piaceva questo lavoro. Ma soprattutto mi piaceva pensare ai miei studenti come persone che avevano un loro destino, una loro vocazione. Che avevano la possibilità di godere di un apprendimento che li facesse vivere – mentre la scuola ammazza l’originalità e il libero pensiero. Mi piaceva pensare che il mio compito era quello di incoraggiarli ad essere se stessi e a fare quello che amavano. Guadagnarsi da vivere seguendo i propri talenti e non le raccomandazioni dell’Unione Industriali.
Ho anche pensato che noi insegnanti raccontiamo cose che non conosciamo. Le abbiamo solo lette nei libri. Ho pensato che, dopo l’alfabetizzazione, uno dovesse apprendere a modo suo, seguendo i propri interessi e alimentandosi della propria passione. Ho pensato che, dopo l’alfabetizzazione, gli insegnanti veri sono quelli che prima di insegnare hanno realizzato. E che si dovrebbe avere la possibilità di accedere a chi ha fatto davvero per imparare come muoversi nella vita reale.
Il detto: chi sa fa, chi non sa insegna, descrive abbastanza bene la situazione dell’intera geografia della formazione. Un fatto che si giustifica soltanto con la circostanza che un modo efficace di imparare è quello di mettersi a insegnare ciò che si vuole apprendere.
Forse, il vero motivo per cui ho lasciato la scuola è proprio questo. Dopo 25 anni di discorsi sulla vita, ho deciso di apprendere davvero a vivere. E sapevo che si trattava di mettersi in gioco.
Ho cominciato una vita propria, senza tutela e chiacchiere, all’età di 57 anni.
Mi son messo a fare il pittore. Volevo guadagnarmi in questo modo di che tirare avanti. Sono quasi nove anni. È andata bene. Non dovrei essere fiero di me? Ho fatto le cose a modo mio.
E probabilmente è in questo modo che ho continuato il lavoro di insegnante dei miei studenti e dei loro successori.
Ho capito che si vive una volta sola. Che quando morirò