E se Dio avvenisse?
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Il quadro si chiama E sarai bellissima. Lo dedico alla donna la cui lettera propongo nella nl.
E se Dio avvenisse?
Immaginiamo che scoprissimo che un Dio ci stesse prendendo per il culo. Malgrado il nostro immenso desiderio di vita, siamo condannati a morte fin dalla nascita, i nostri sogni e desideri sono sempre mille miglia lontani rispetto alle condizioni reali, e la maggior parte di noi non ha neanche il minimo indispensabile per una sopravvivenza dignitosa…
In uno scenario del genere avremmo sempre la possibilità di cavarcela discretamente, se decidessimo tutti di imboccarci l’un l’altro, su tutti i piani di sogni e bi-sogni.
Le conclusioni sarebbero esattamente le stesse dettate dalla fede in un Dio dell’Amore che ci spronasse alla carità reciproca per entrare nel Regno dei Cieli.
Dunque?
Gandhi diceva che Dio viene all’affamato sotto forma di un pezzo di pane. Quel pezzo di pane qualcuno deve averglielo dato, all’affamato.
Possiamo immaginare che il Dio avviene esattamente in funzione di ciò che noi facciamo, per noi stessi e per gli altri?
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Dopo questo pensiero infantile, vi propongo una delle mail che mi sono arrivate oggi. Avevo invitato, nella Festa della Donna, ad ascoltare le donne. Mi hanno scritto in tantissimi. Soprattutto donne, ovviamente. Donne che esprimono gratitudine per essere, donne che rimproverano chi non è capace di ascoltare, donne che spronano a credere in se stesse, donne che piangono per ciò che manca. Anche tanti uomini, poeti, in contemplazione della propria donna…
Una di queste mail ha lasciato una traccia profonda dentro di me. Ve la propongo. E vi chiedo di ascoltare quel che suggerisce il vostro cuore.
Davvero tanti anni fa – era il 1991 – mi trasferii a vivere con la mia famiglia a B. La casa si trovava ai margini del paese. Era nuova di sei anni. La si affittava da una famiglia che si era trasferita per lavoro a Milano. Si pagava allora un milione di lire mensili di affitto. Aveva duemila metri di giardino e frutteto nei quali Giuliano costruì un intero parco di altalene, scivoli e giochi per i nostri piccini; l’abitazione era di 250 mq disposti su un solo livello: c’era una grande cucina abitabile, un salone immenso con lo studiolo adiacente; 4 stanze da letto e due bagni; una mansarda non abitabile ed un piano interrato con dispensa, lavanderia e 3 posti auto. Tutto questo stava nel centro del sole della mia valle e nel centro del mio cuore.
Io e Giuliano avevamo deciso di condividere questo benessere e questa bellezza con persone che potevano averne bisogno ed ospitavamo 2 ragazzi in affidamento. Nel 1992, rimasi incinta di Francesco; smisi di lavorare a scuola e per aiutarmi a gestire due affidati, un bimbo di 5 anni, una di 3 e il piccino che stava per nascere, decidemmo di assumere Jenny, inviataci da un gruppo di volontari delle suore della Consolata.
Jenny aveva allora 28 anni, veniva dal Senegal dove aveva lasciato 5 mesi prima i suoi 2 figli in custodia alle sue sorelle. Suo marito era immigrato con lei e faceva il camionista in Austria.
Le demmo una stanza nella casa e lei visse con noi per quasi due anni; le davamo uno stipendio di 800 mila lire più vitto e alloggio.
Suo marito guadagnava analogamente ed il loro progetto era di lavorare in Italia per due o tre anni: con quei livelli di guadagno, in capo a quel tempo, sarebbero stati in grado di