Categoria : Eugenio Guarini
Categoria : Eugenio Guarini
Lettere da Nosolandia 10
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Ho sperimentato la meditazione. Ho trovato un mio modo di ottenere Mindfullness attraverso la scrittura in solitudine, in concentrazione. Se la cosa la si può fare attraverso il Tai Chi, la si può fare anche nel battere alla tastiera del computer per comporre parole. Se devo stare seduto perché le gambe non sono utilizzabili, allora anche con la scrittura (con postura eretta e flessibile, in qualche modo rilassata, anche con le vertebre lombari doloranti) è possibile fare qualcosa di simile. Sono convinto che, se ne cogli i principi, qualsiasi attività può essere trasformata in una sorta di Tai Chi.
Tutti hanno sentito parlare de “Lo zen e l’arte del tiro con l’arco”, de “Lo Zen e l’arte della manutenzione della motocicletta”… Bene, sono convinto che qualsiasi attività che sia fatta con gli stessi principi può realizzalo. E può essere vantaggioso, al posto di scagliare frecce lungo il corridoio del proprio appartamento, praticare Lo Zen e l’arte di pulire i pavimenti, Lo Zen e l’arte di lavare i piatti… e così si arriva a Lo Zen e L’arte di scrivere a macchina, o a mano.
Sembra che l’autoconsapevolezza abbia un ruolo importante nella guarigione.
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ore 3:00
Ecco che mi sveglio nel cuore della notte. Ne sono felice. Mi piace questo dischiudersi improvviso della coscienza dal buio del sonno. Questo apparire di me alla vita e a me stesso. È come nascere di nuovo.
E subito mi ritrovo pieno di tracce di passato. Anzi non sono che questo. Ricordo i discorsi della sera con il diacono Marco, che mi ha raccontato dell’incontro di Bioetica a Chivasso, dandomi un saggio della sua apertura mentale, integrando Yoga e il Tai Chi, con la sua visione cristiana.
Ricordo gli scambi su WhatsApp con Claudia, Infermiera in Ospedale, che mi racconta qualcosa del convegno su Antropologia Medica, cui ha partecipato. Altro tassello di un approccio alla cura del malato che va allargando l’orizzonte, alla ricerca di una completezza umana nell’approccio al dolore e alla sofferenza.
E affiora anche la chiacchierata di ieri mattina con Daniela, da poco vedova di un medico amatissimo, madre di un’infermiera, sugli effetti di un trauma che sta elaborando, affidata a pratiche di medicina alternativa (dal nome per me misterioso di terapia cranio sacrale) oltre che a un impegno quotidiano a convivere con i ricordi, un tempo dolorosi e insopportabili, ora dolorosi ma che “fanno compagnia”.
E la visita di mia figlia Chiara, e le notizie sulla sua salute, con qualche preoccupazione e un po’ di ambascia per avere, con la mia malattia, contribuito a renderle più pesante l’ultimo anno.
E all’improvviso arriva la memoria confusa delle recenti letture, in qualche modo tutte legate al tema, frugate e saccheggiate per raccogliere spunti e idee che mi potessero aiutare.
E allora penso a ciò che sto facendo, per me e per amici, nel tentativo di vivere questa malattia come un’esperienza d’apprendimento, una situazione cui dare un senso. E penso alla narrazione scritta di qualche aspetto di tutto questo, che altro non è che un qualche pallido riflesso di quella narrazione che io stesso sono: questa coscienza che si desta nel cuore della notte e che, raccogliendo tracce del passato, subito si proietta verso una sorta di anticipazione del futuro, verso le scelte che farò e che ora intendo preparare.
E subito mi si rovesciano addosso domande impossibili, cui non saprò rispondere. Domande sollevate dalla constatazione che tutta questa storia, che mi trova così coinvolto, non è altro che un effimero fluire, destinato presto a sparire, perché ancora un poco e poi non sarò più. Domande,
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