Categoria : Eugenio Guarini
Categoria : Eugenio Guarini
Ci sono quelle epoche della vita in cui ti rendi conto che tutto ciò che hai fatto e che sei diventato non basta più. Si è profondamente insoddisfatti. Per fortuna ci è dato di poter ricominciare. A me è successo tante volte. E quando si ricomincia conviene partire dai propri sogni.
L’ultima volta che ricominciai fu dopo una bruttissima bronchite da grande fumatore. Smisi le mie 40 sigarette al giorno e cominciai a camminare. Mi affidavo a uno stretto contatto quotidiano con la natura per ricostruire le energie e la fiducia. La ripresa fu lenta. Durante quelle passeggiate meditative incominciai a frequentare il mondo dei miei sogni. Un desiderio intenso di vederli realizzati! Passeggiare, sognare e desiderare divennero sinonimi. Lo faccio ancora, quasi tutti i giorni. Mi domando che cosa desidero davvero e poi mi abbandono alle fantasticherie. Cerco un modo di vivere che mi calzi perfettamente, che sia leggero e piacevole, e mi consenta di ottenere quello che desidero. È poco? Volevo qualcosa nella vita che assomigliasse alla mia esperienza di pittore.
Ho cominciato a dipingere nel 1997. E ho trovato presto il metodo per dare vita ai miei quadri. L’ho chiamato il metodo delle macchie, o delle nuvole.
All’inizio dalle macchie che facevo muovendo la mano un po’ casualmente venivano furi sempre volti di donna. Ho fatto più di mille volti donna da allora. Alle esposizioni ho cominciato a venderle. Piacevano. Quelle donne mi aiutavano a ottenere le prime risorse economiche da pittore. Ero stupito dalla facilità con cui le mie donne nascevano dalle macchie. Il metodo era emozionante e piacevole. Corrispondeva straordinariamente a come sono io. La progettazione accurata e a priori non mi riesce bene, la trovo faticosa e fredda. Ho bisogno di andare un po’ a casaccio. Saltare di palo in frasca. Mettermi in sella e lasciarmi portare dal cavallo… Il metodo delle macchie (o delle nuvole) era perfetto!
Incominciai a domandarmi se non potevo trovare l’equivalente nella vita nel suo insieme. Potevo vivere col metodo delle macchie? Era una sfida fantasiosa e appassionante. Ero convinto di sì e volevo cercare il come.
Gli elementi del mio metodo preferito di pittura erano tre: Il movimento apparentemente casuale della mano, i materiali che usavo, i colori acrilici che asciugano in fretta, i pennelli grandi, le spatole sempre più grandi…, la tela. Quali erano gli aspetti corrispondenti nella mia vita, presi nel loro insieme?
La base plasmabile su cui avrei dovuto applicare il movimento delle mani, la tela, era la realtà nella sua globalità, gli eventi che mi raggiungevano, le persone con cui entravo in contatto, le situazioni in cui mi trovavo a muovermi, il mondo, insomma…
Capivo che considerare la realtà come fosse una tela su cui lavorare era un bel passo audace. Per molto tempo avevo considerato la realtà come qualcosa da subire, qualcosa a cui reagire per difendermi, per conservare… Ora volvevo considerarla come materia plasmabile in una certa misura. Qualcosa che poteva essere indotta dal mio atteggiamento e dai miei gesti a rispondere almeno un po’ alle mie attese.
Avrei provato a “dipingere” la mia giornata, i miei progetti, le mie azioni, in maniera da tirarne fuori… delle azioni belle, dei risultati belli. Era opportuno che avessi fiducia. Fiducia che la realtà accettasse i movimenti delle mie mani.
I pennelli e i colori, le mie risorse e i miei strumenti, ciò che potevo usare per agire sulla tela della realtà erano una certa quantità di cose e di fattori il cui elenco cresceva sempre più man mano che decidevo di cercarli. Perché all’inizio, quando uno pensa alle risorse che possiede si limita
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