Categoria : Eugenio Guarini
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Elogio della stanchezza (da stanco)
Stanchissimo. Ecco come mi sento stasera. E sento il desiderio di fare un elogio della stanchezza. Come dire, gli ultimi guizzi, gli ultimi sprazzi, prima di crollare nel sonno. L’ultima goccia d’energia residua per fare un elogio della stanchezza. Un elogio della stanchezza, fatto da stanco.
Adesso mi vengono in mente tutte quelle persone che conosco che stanno spremendosi l’anima e il corpo perché vogliono affrontare un cambiamento, perché vogliono essere fedeli ad un proposito, perché vogliono uscire da una situazione che non va più bene… Hanno avuto un guizzo d’intuizione, hanno trovato il coraggio di decidersi, hanno anche scoperto itinerari nella foresta che promettono di portare là fuori. E si sono spesi. Hanno gettato senza riserve tutte le loro energie nell’impresa. Ma ora, arrivati alla sera, si sentono morti. Con le ossa spezzate. Con nella testa l’immagine di come si sono sentiti fieri e forti e grandi durante il giorno, ma ora, quell’immagine sembra così lontana. Ora sono stanchi morti. E sanno, che se si lasciassero andare del tutto, verrebbero dubbi, li assalirebbero vecchi fantasmi…
È per loro che scrivo questo testo?
Sì, ma soprattutto per me. Perché io sono uno che mi spendo, sono uno che crede, sono uno che apprezza la vita al massimo livello. E ora sono uno che è stanco morto. E voglio venire a patti con questa stanchezza. Voglio accoglierla ed esserle amico. Voglio abbracciarla e chiederle la sua saggezza.
Io sono uno che, facilmente, forse volentieri, trasmoda. Intemperante, esagerato, seguo una pista che parla un linguaggio d’amore, ma commetto in continuazione sbavature ed eccessi. Fumo troppo, bevo troppo. Mangio troppo, trascuro la passeggiata, il movimento all’aria aperta, i roller – eppure adoro andare con i roller – … insomma non curo con saggezza quelle norme di buona condotta che dovrebbero sostenere l’equilibrio delle energie e la cautela nei confronti dei rischi. Sono preso dall’amore per ciò che amo e penso che questo basti – trascuro tutto il resto. E ora sono inquinato e stanco.
E interrogo questa stanchezza, che certo non mi gratifica, ma che sento amica. La sento amica. E credo di capire che questa mia stanchezza è felice. Felice di riconoscere i miei limiti, di mostrarmi la piccola consistenza di tutti i miei paroloni. Felice di accettare la piccola dimensione, puntiforme, nella vita, compresa la mia stessa vita. E sento che è questa stanchezza che mi avvicina agli altri, perfino più della mia esuberanza e delle forti intuizioni che emergono nei miei pensieri.
Questa stanchezza mi suggerisce che ho bisogno di ricollegarmi alla grande sorgente. Che senza quest’energia originaria non c’è proprio niente che io sia e che possa fare – nonostante i miei più generosi e coraggiosi propositi.
E so che non si tratta di leggere o di pensare o di riflettere o di fare alcunché. So, e lo accetto, e mi piace, e mi ci abbandono, so che quando uno è stanco ed ha sonno il modo più semplice ed efficace non è nella riflessione, non è nell’analisi, non è nell’indagine, ma semplicemente nel riposarsi, nel dormire.
E penso a quanti – e a me stesso nel passato – si torturano, si scarnificano e si accusano per il semplice fatto d’essere stanchi. E a quanti hanno a fianco un’amante, un marito, dei figli, degli amici, dei colleghi, … che li rimproverano d’essere stanchi. Che li mettono sotto accusa per questo. E li inducono a pensare che sono meno, e magari colpevoli, perché sono stanchi.
E a loro e a me dico: abbracciamo questa stanchezza amica,
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