Categoria : Eugenio Guarini
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Un sapere nell’ignoranza
E, in fondo, cosa ci aveva messi in moto?
Il disagio e il dolore.
Eravamo stati schietti con noi stessi: avevamo ammesso che non stavamo bene. E, invece di rassegnarci all’esistente, invece di essere realistici e di fare i furbi, avevamo creduto ai nostri sogni. C’era stato questo splendido passaggio: da qui a lì – come dicevamo.
Quella decisione – di credere alla verità dei nostri sogni proprio nel momento in cui la realtà sembrava condannarli – era stato il nostro atto di coraggio. E si era rivelato fecondo. Perché successivamente risultò chiaro che la realtà era viva e disposta a mutare. Che la realtà dava ragione al nostro modo di pensare.
Come dicevano i più spirituali tra noi: l’universo collaborava con i nostri desideri, se ci credevamo davvero.
Ma, all’inizio, c’era del dolore. Un dolore forte e lancinante.
Succedeva quando l’uomo o la donna che avevamo amato ci lasciava. Senza peraltro capire perché.
C’era dolore dell’anima. Forte, lancinante. Come quando la società e il mercato sembravano dirci: non c’è spazio per questo. E noi avevamo in cuore desideri e sogni che sembravano la vita.
C’era dolore. E il dolore stesso ci spingeva a uscire, a salire qualche gradino della scala. Se non volevi morire, finire schiacciato sotto un peso insopportabile.
Il dolore è dolore, non c’è santi…
Il dolore del corpo assorbe le forze, il dolore dell’anima esaurisce le energie della vitalità: la fiducia, la speranza, la gioia di vivere. Entrambi possono uccidere.
Ma il dolore è anche una reazione vitale e mette in moto le risorse estreme, quelle fondamentali. E superare la prova del dolore rende più forti, più coraggiosi, alla fine, più umani.
Il dolore diventò nostro amico. Come le nostre imperfezioni.
Avevamo coltivato sogni, li avevamo coltivati con cura. Avevamo immaginato scenari in cui i nostri sogni avrebbero danzato. C’era il dolore. Il dolore di constatare che le cose non stavano in quel modo.
Noi diventammo esperti del dolore. Del dolore dell’anima.
Il dolore c’insegnò la via della vita.
Smettemmo di pensarci in continuazione, non appena recuperavamo un po’ di fiato. Ci affidammo a una provvidenza misteriosa, che ci offriva intelligenza sulla nostra vita. Fummo capaci di ammettere ciò che sapevamo da tempo ma che non riuscivamo a confessare: che, così, non eravamo felici. E che dunque la felicità la dovevamo cercare altrove. Da qui a lì!
E quando uscivamo da quei territori oscuri, da quei viaggi nell’oltretomba, e quando riuscivamo a intravedere i nuovi orizzonti nel territorio aperto, allora finivamo perfino per benedire il dolore che ci aveva visitato. E cominciava la vita. Un’altra volta.
Magda era stata lasciata. L’amore della sua vita sembrava perduto. Si era allontanato, perché? Si sentiva deprivata dei suoi sogni, risucchiata da una sorta di mulinello che la portava a fondo. Tentò di resistere, di contrastare la spinta, di lottare contro la corrente. Non voleva provare quei sentimenti dolorosi. No, non voleva sentire. Poi si rassegnò. Accettò di patire. E si lasciò attraversare dall’ondata amara. Passò un tempo senza data. E non morì. Si ritrovò ancora viva, alla fine della pena.
Non era morta. E ora che se ne rendeva conto, gli orizzonti della vita erano nuovi. Il richiamo del desiderio era fresco e genuino. Il suo cuore si era allargato. E poteva fare, con maggiore libertà, quello che voleva.
Il dolore non l’aveva resa cinica. Al contrario, era stata come lavata da incrostazioni illusorie, e si ritrovava fresca e più giovane ad ascoltare il richiamo di quella prospettiva straordinaria che aveva a portata di mano.
C’è già
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