Categoria : Eugenio Guarini
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Tra corpo e anima
Per noi il corpo non era solo l’involucro dell’anima, ma la sua manifestazione creativa. E le azioni erano trasformazioni del mondo dotate di stile e di spirito.
Da sette anni dipingevo volti di donna, corpi di donna. Credete è stata una ricerca affascinante, intrigante, istruttiva… Carezzare sulla tela, con il pennello, il volto e il corpo della donna che stava nascendo era indugiare nei piccoli grandi indizi di qualcosa d’altro, intenso e caldo, sfuggente e inafferrabile, che solo così diventava – almeno parzialmente – a portata di mano: lo si poteva – in un certo senso – toccare…
Benché le parole “comprendere” e “capire” facciano riferimento a qualcosa come “afferrare”, “tenere in pugno” – l’eterna illusoria tentazione di possesso! – beh, mi rendevo conto, dipingendo, che ogni forma di conoscenza rimane solo un “toccare”. Ma quel mio “toccare” era un sentire di più, era qualcosa di più che un semplice sfiorare la superficie. Consentiva in qualche modo un accesso ad una realtà più profonda, un altrove…
Dipingere resta una scuola straordinaria per apprendere a guardare e a vedere. Ed è in questo modo che ho intuito meglio di quanto non avessi mai fatto prima il rapporto tra ciò che chiamiamo corpo e ciò che chiamiamo anima. Il corpo è come il linguaggio dell’anima, la sua parola. Guardando il corpo si può sentire l’anima, il corpo la rende visibile. E, viceversa, agendo sul corpo si agisce sull’anima.
Vi sembrerà sciocco o ingenuo, ma vi assicuro che – sulla base di quest’intuizione – quando facevo le pulizie di casa, quando pulivo i vetri delle finestre, quando sgombravo e rimettevo in ordine la mia cantina, beh, io pulivo e mettevo in ordine la mia anima, i miei sentimenti, i miei progetti, le mie aspettative e perfino il mio modo di lavorare…
Di più: quando avvertivo la necessità di rimettere in ordine l’anima, di operare una sorta di rinascita, di rendere fresca e luminosa una ripresa della vita…, beh, cominciavo a lavare i pavimenti e a sgombrare l’alloggio da tutte le cose vecchie e polverose che ne imprigionavano gli spazi.
E poiché ho una certa intelligenza “mimetica” che mi rende consapevole – almeno fino ad un certo punto – del processo che guida il mio corpo a dare forma espressiva a certe mie intenzioni, sono stato indotto a prestare attenzione al gioco sottile d’iniziativa e passività che avviene in questo piccolo spazio che congiunge l’anima al corpo, in questo “da qui a lì” dell’espressione.
Quello che voglio dire è che l’espressione, così come la mettemmo a fuoco nelle nostre ricerche, non era soltanto un far venire alla luce, rendere visibile, sensibile, qualcosa che c’era già prima nei territori dell’interiorità. L’espressione era creazione della cosa stessa con un’azione responsabile. L’espressione non era soltanto il vestito, ma il corpo stesso nel punto culminante della sua nascita e invenzione.
Sì, ex-primere: da qualcosa che viene dato, spremi con un gesto creativo qualcosa di nuovo, dai forma a ciò che prima non n’aveva che la possibilità.
Ogni evento, ogni cosa che c’è è passato che ti raggiunge. Il presente è il tuo momento: quello in cui, qualunque cosa sia, puoi farne materia prima per una nuova realtà. Questo è esprimersi. Esprimi te ed esprimi le cose attorno a te. Il tuo mondo.
Anche se avviene in un attimo, ci si addestra per tutta la vita.
Ma questa è l’avventura degli ontonauti. La loro navigazione di scoperta dell’essere culmina nell’espressione di qualcosa che non c’era. L’essere che gli ontonauti esplorano,
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