Categoria : Eugenio Guarini
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Respirare la luna
Hanna veniva dal nord Europa. Adorava il calore del mediterraneo. Per questo si era trasferita nel nostro paese. Tuttavia non era il sole soltanto ad alimentare la sua anima. Hanna adorava guardare la luna. In un certo senso aspettava le notti di cielo terso per respirare la luna.
Mio Dio, dimmi tu se ci capisci niente!
E delle volte sembrava che a non capirci niente fosse il meglio che ti potesse capitare. La differenza tra capire e non capire non era stata delineata in maniera precisa. Delle volte a essere un po’ brillo sembrava di capire meglio. E quando eri del tutto sobrio non si capiva una mazza.
Comunque sia, Hanna girovagava tra noi ontonauti in cerca di qualcosa. E aveva le sue belle domande da fare. Dove l’ho incontrata? A Massa o a Vicenza? In questo momento non lo ricordo, ma era in quel periodo.
Quando le feci il ritratto io ero preso dal suo pallore lunare. La luna era un elemento che aveva qualcosa da dirmi. Lo so, la luna. Del tipo, la luna muta, stultus ut luna mutatur, cose che venivano dal passato. Avevo fatto, nei primi tempi, un quadro che s’intitolava “Guidato dalla luna”. lo chiamavo anche “Il lunatico”. Mi ispiravo alle donne, a come cambiano umore. C’era qualcosa in quel cambiare d’umore che mi incuteva rispetto. Malgrado l’irritazione di avere a che fare con persone che cambiavano in continuazione il modo di sentire.
Lei era una specie di giornalista. Metteva in piedi degli articoli sugli artisti, e per qualcosa che le girava in testa, intendeva esplorare il modo in cui un artista arriva a fare quello che fa e a pensare quello che pensa.
Per questo era venuta a trovarmi, in una sera in cui non sapevo mettere in croce due parole che fossero due parole. Voglio dire, quando parli cercando di inseguire la preda ma non l’acchiappi mai.
Lei chiedeva: Ma tu lo sai che cosa vuoi?
E io ero un po’ di traverso, nel senso che credevo di avere la risposta, ma quando muovevo la lingua per articolare le parole mi rendevo conto che quello che veniva fuori era anche un po’ fuori luogo.
Ho provato a fare il modesto e a darmi una scossa. E le dicevo: beh, quando ho cominciato pensavo di aver trovato un modo di sopravvivere, nel senso letterale. Faccio i quadri e li vendo e così campo. Qualcosa del genere. Almeno credevo di raccontarla giusta. Lei però mi guardava. Non lo so cosa capita a voi, ma quando una come Hanna ti guarda, tu hai la sensazione di aver dimenticato qualcosa d’importante o che ti sei perso lo spettacolo. Cioè, ti viene in mente di non aver afferrato il senso della domanda.
Hanna! Che cosa vuoi sapere?
In un certo senso non era importante. Però, tu pensi che se riesci a dirle, le cose, ti sembra di controllare meglio la situazione. Insomma, di sapere chi sei e cosa stai combinando. Però…
Insomma, lei venne nel mio studio. Mi raccontò un sacco di cose sulla sua famiglia, del tipo: mio padre e mia madre… e poi, da bambina…, fino a quando si era innamorata, e si sa… Quasi tutti… E, alla fine, quando aveva deciso di esplorare più consapevolmente quello che succede… Era stato suo cugino? Non ricordo bene, aveva comunque trovato questo posto, stipendiata, per fare degli articoli sugli artisti, e sul processo creativo, e le piaceva.
Io non capivo niente, perché in quei giorni pensavo di traverso e mi sembrava di essere piuttosto
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