Categoria : Eugenio Guarini
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Il punto più importante.
Io questo ce l’avevo in testa. Come si dice.
Io volevo dimostrare che si può vivere facendo quello che ami fare, in tutta libertà. Qualcosa del genere. Io volevo che i ragazzi ci credessero. Che non credessero che si deve per forza andare in un’azienda. Prendere un lavoro dipendente, perché si devono pagare le bollette. L’affitto. Tutto quel che c’è da pagare per avere una casa, dei vestiti, la macchina e da mangiare. Io volevo dire, ragazzi con l’intelligenza e l’intraprendenza potete restare liberi, fare quello che amate fare, se avete addosso una specie di vocazione. Vi guadagnerete da vivere!
lo volevo dire ai ragazzi. Perché sono stato un insegnante per tanti anni. Il che vuol dire stare vicino ai ragazzi e vedere nei loro occhi la tua stessa inquietudine. E non sopportare che la vita sia così dura, così insensibile. Insomma lo volevo per i ragazzi. Ma, a pensarci bene, io lo volevo per me. Che un ragazzo non lo ero più e mi sarebbe piaciuto esserlo ancora. E io sapevo questo, che volevo essere libero di muovermi, libero con il mio tempo, insomma non costretto a fare qualcosa che non mi piaceva. E nello stesso tempo, guadagnarmi da vivere. Ce l’avevo in testa questa cosa qui. Ed era troppo forte perché potessi ignorarla a lungo. A costo di mandare tutto a puttane.
Io avevo una cosa in testa. Era per me ed era per i ragazzi. Credo si trattasse dei miei studenti. Ma loro rappresentavano molto di più. Rappresentavano me e tutti gli altri. Insomma, bisognava affrontarla questa sfida. È così. Non c’è niente da fare.
Ed era anche eccitante. Dicevo, se ce la faccio, sono una leggenda. Mi piace diventare una leggenda. Sarò scemo, ma mi piace questa cosa che posso diventare una leggenda. E allora ci devo dare dentro. E giocare d’intelligenza e di tutto il resto.
Tutto il resto era la fede.
Il che voleva dire che io sapevo che la cosa più importante era lavorarmi dentro. Non più cedere allo scoramento, alla depressione. Niente da fare, anche se l’umore variava. Se potevo cadere a terra, come era successo in passato. Per le ragioni più svariate. Chissammai perché si va a terra? Anche se questo fosse successo, io volevo trovare un modo per rinascere e ritornare a galla. Perché questo io lo capivo, se dentro io reggevo, se nella testa io sapevo immaginare, se nel cuore sapevo credere, allora non mi avrebbe fermato più niente e nessuno.
Io ero sicuro che si partiva da dentro. Non era una questione di soldi, di business plan o robe del genere. Era questione di crederci e far lavorare il cervello. E io sentivo che ce la potevo fare. E avevo una gran voglia di mettermi alla prova. Ce la potevo fare e valeva proprio la pena di provarci. Volevo morire dicendo: ci ho provato. Non volevo morire con il rimpianto. Sai, come si dice. Il rimpianto di non aver osato tentare.
Ragionavo in maniera estrema a quei tempi. E sono fiero di aver ragionato in quel modo. Mi sono aperto dei varchi in un orizzonte piuttosto spesso, a quei tempi. Me lo sono aperto a picconate e queste picconate erano i miei ragionamenti estremi.
Io lo sapevo, me lo sentivo. Mi dicevo: non è questione di conoscere il mercato, di avere gli agganci giusti, di sapere come si fa… cose del genere. Lo sapevo che tutta la partita si giocava dentro di me. Lo voglio davvero? È il mio sogno? Ci credo? Sono
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