Categoria : Eugenio Guarini
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Pensiamo con la nostra testa o da replicanti?
Se uno prendesse la vita come una sorta di sperimentazione…
Voglio dire: siamo qui, proviamo a vedere che cosa c’è, che cosa vien fuori. Sai? Voglio dire, non una cosa già fatta, una mappa già tracciata, dove si tratta di apprendere le regole da quelli che ci hanno preceduto e poi di comportarsi a dovere. No, intendo una cosa diversa, come quando eravamo bambini e ancora non sapevamo come stavano le cose. E che ogni giorno perlustravamo, ci facevamo le nostre ipotesi, provavamo, e vedevamo quello che succedeva… Sì, una cosa del genere.
Beh, devi ammettere che allora c’era il senso dell’avventura!
Ma ora, perché mai dovrebbe essere diverso? Siamo forse meno ignoranti? Certo, un po’. Ma la vita è ancora così misteriosa… Non c’è una mappa della vita che sia esaustiva e definitiva.
E allora?
Forse abbiamo voluto accorciare i tempi. Forse pensavamo che imparando le grandi lezioni dei nostri grandi maestri avremmo potuto saltare la fatica – e l’avventura – di esplorare in proprio, di crearci in proprio le nostre mappe personali, i nostri punti di riferimento, i criteri per decidere, o cose del genere. Mi sto spiegando?
Noi vediamo, sentiamo un sacco di cose. Abbiamo un apparato sensitivo notevole – chiamalo come vuoi. E poi abbiamo questa capacità di pensare, di congetturare, ipotizzare, teorizzare.
Succede che leggiamo volentieri libri, analisi, verdetti, suggerimenti di altri. E’ normale e anche molto stimolante. Ma a scuola dovevamo assorbire una quantità di nozioni di altri che via via diventava sempre più grande. Venivamo anche incoraggiati a pensare che il sapere consistesse proprio nella quantità di informazioni di altri che riuscivamo a stipare nella zucca e a tirar fuori al momento opportuno. E può essere che abbiamo trascurato un po’ troppo quell’altra esigenza che noi abbiamo, di masticare ed elaborare in proprio nozioni e informazioni. Quel lavoro da ruminante che digerisce e poi assimila e nutre la propria capacità di produrre pensieri calzanti con la nostra particolarità e con gli eventi che ci capita di vivere.
L’efficienza è da tutti considerata come la quantità di cose che si riesce a fare o a studiare nell’unità di tempo e sembra che perdere tempo per assimilare, digerire e sviluppare un pensiero in proprio sia un peccato d’inefficienza.
Eppure, da ragazzini, noi volevamo capire. E facevamo anche perdere le staffe ai nostri insegnanti perché non capivamo. Volevamo capire! E capire significava proprio questo digerire, assimilare e nutrire un pensiero nostro che inglobasse quello che ricevevamo ma lo riportasse alla nostra esperienza personale, alla nostra osservazione diretta.
Probabilmente manifestavamo la nostra contrarietà al dogmatismo religioso, ma eravamo piuttosto “dogmatici” nell’assumere teorie e dottrine di emeriti studiosi razionalisti che inneggiavano alla critica.
In fondo, non si è dogmatici ogni qualvolta si assume una teoria elaborata da altri senza averla sperimentata in proprio, elaborata in maniera personale sulla base delle proprie dirette osservazioni?
Siamo stati “dogmatici” con la matematica, la geometria, la fisica, i filosofi del programma, il diritto, l’economia, e perfino con la grammatica e la sintassi.
Con tutti gli anni di ginnastica del cervello che abbiamo fatto durante il lungo iter scolastico di cui beneficiamo nei nostri paesi avanzati, non saremmo in grado di diventare scienziati, artisti, ricercatori, teorizzatori, sperimentatori in prima persona? Non saremo in grado di sviluppare un nostro punto di vista sulla base della nostra osservazione diretta delle cose e delle nostre esperienze? Soprattutto per quanto attiene alla gestione della nostra vita personale.
Beh, io penso che questa sfida sia eccitante, almeno
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