Categoria : Eugenio Guarini
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L’uomo di Spring Garden
Delle volte, allo specchio, mentre mi rado, la mattina, mi domando: ma quello lì sono io? E in quelle circostanze mi rendo conto che c’è come una distanza tra me e me. C’è un dentro e un fuori. E quando mi vedo allo specchio, mi domando che rapporto ci sia tra quello lì fuori e questo qui dentro.
A dire il vero, io sto sempre con questo qui, dentro. Sento, penso, scrivo, dipingo, telefono, vado, faccio. Mi sembra di essere un punto che ha un certo margine di consapevolezza. Dirigo il faro su qualcosa. E più mi ostino a guardarla e più mi sembra che sia diversa da quello che si dice di solito. E questo mi piace, perché è come se si aprisse un mondo nuovo dove viaggiare, muovere, fare, e vedere.
Io sono questo punto da cui guardo le cose e faccio. E nel fare muovo il corpo, cammino, parlo. Ma non mi vedo mai dall’esterno. So che vado fuori, ma non mi guardo mai da fuori.
Solo quando sono allo specchio, la mattina, e mi rado. E allora mi viene da chiedere: ma quello lì sono io?
Chissà cosa vuol dire?
Perché non vedo dall’interno la faccia che lo specchio mi presenta?
Io ho la mia faccia dal di dentro e ho il mio corpo dal di dentro.
A dire il vero non ho mai chiesto all’immagine riflessa di parlarmi di me. Le potrei chiedere di parlare di me?
Forse lo faccio, in qualche modo, quando dipingo. Allora vedo qualcosa che è nato dentro e che è entrato nel mondo di fuori. Allora la guardo come si guarda un testo in un libro. E mi domando cosa c’è scritto.
E chi sono io? E chi voglio essere?
Beh, non vorrei decidere questa questione allo specchio. Vorrei, semplicemente, che la mia immagine esterna dicesse – a coloro che mi vedono da fuori, esattamente quello che io sono, all’interno. E credo che succeda, anche se non controllo.
Ora mi viene in mente un danzatore, davanti lo specchio. Che si guarda mentre fa i movimenti. È chiaro che cerca di regolarsi in base a quello che dall’esterno si può vedere. E mi sto domandando se questo non porti fuori strada. O forse è un modo più completo di essere? Ma che vuol dire?
Sono cose difficile da capire. E il linguaggio arranca. Ma io capisco che ho delle cose da fare, che le cose che faccio sono belle e buone. Il corpo e la faccia seguiranno. Sono altre le cose di cui mi preoccupo. Per questo – lo capisco adesso – trovo stupida la società dell’immagine. La recita davanti al grande schermo o a quello piccolo, quando è fatta con l’attenzione più al fuori che al dentro. L’immagine? Che sia la manifestazione di ciò che uno è. Non il contrario. Non è la sincerità la regola d’oro del buon vivere?
Non credo nelle operazioni promozionali che non nascono dall’interno. Non ci credo perché si pensa che promuovere sia un lavoro separato. Saresti capace di vendere qualsiasi cosa – anche se non ne sei convinto?
Ci sono persone che sono portate dai vestiti e ci sono persone che portano i loro vestiti. Tu chi preferisci essere?
Malgrado le apparenze, non credo che la gente sia stupida. Credo al contrario che la gente sappia vedere le cose, dietro l’immagine. Credo che quando si guarda allo specchio rimanga forse un momento frastornata e si chieda anche: ma quello lì sono io?, ma poi, con uno scossone, dica: io sono questo qui!
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