Categoria : Eugenio Guarini
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Anima bambina
Eccolo! Ci sono ritornato. La stanza delle preoccupazioni, dello stress.
Immagino che mi capiti come a voi. Mettiamo… le bollette e le tasse e gli impegni di pagamento, tutti insieme. Puntualissimi. E ti accorgi che non hai provveduto per tempo a raccogliere la somma che serve. Ma che dico? Non è neanche che non ti sei preoccupato: è proprio che non sono arrivati i soldi, non hai venduto abbastanza, o che altro… Insomma, uno dei soliti colli di bottiglia…
E tu hai dichiarato “allarme rosso”!
Bisogna vendere di più. Concentriamoci. Hai chiamato a raccolta tutte le tue energie e quelle dei tuoi collaboratori.
Maggiore attivismo, maggiore tensione.
Se prima tutto sembrava scivolare e tu veleggiavi felice per le scelte coraggiose che hai fatto, perché eri convinto che stavi proprio seguendo la tua strada, ora vengono perfino i dubbi. E col dubbio un desiderio punitivo di rimediare…
Sì. Un paio di giorni come una stanza che perdeva di luminosità. Una stanza le cui pareti riflettevano il mio stile di vita come irresponsabile – nient’affatto adulto e maturo. Ma quando crescerai? Sembrava dicessero.
Lo vorrei gridare, e in qualche modo lo faccio. Anche se non alla gente, che immagino indaffarata. Anche solo per me, nel mio appartamento studio atelier. Qui dentro. Perché mi ritorni – anche soltanto – come un’eco. L’eco della mia voce. L’eco della voce della mia anima bambina.
Perché? Perché?
E per un paio di giorni mi sono sentito scollegato. Senza contatto. Aggrappato sempre di più in un attivismo piovra, per altro sempre insufficiente…
Stamattina, all’Orco, per la mia solita camminata meditativa, mi è venuto di fare un esperimento. Lo sapete, l’ho già detto, faccio esercizi all’Orco. È il mio momento di consapevolezza. Ho messo un bastone, ben piantato per terra. E.. non vi stupite, faccio esercizio di zen e l’arte del tiro delle pietre.
Sono diventato molto bravo nel lancio e nella mira.
A dieci metri, spesso, al primo colpo…
Faccio questo esperimento. Non vi allarmate. Sapete che sono sempre un po’ un ragazzaccio. Ma è andato tutto bene, anche per la vittima designata.
Ci sono coniglietti selvatici dove vado a camminare. Dunque, mi viene in mente questa sorta di training metaforico. Mi dico: raggiungere i miei obiettivi è come catturare un coniglietto.
Detto fatto, mi armo di cinque sassi, sufficientemente micidiali, e mi metto a perlustrare la zona di caccia.
Ne vedo un paio – di coniglietti – ma non riesco a stabilire la distanza di tiro. Scappano rapidamente.
Al terzo incontro, ho fortuna. Sono a distanza di tiro e il coniglietto è fermo. Mi guarda. Due occhietti svegli, le orecchie dritte.
Io sono pronto, teso come un arco.
Questa situazione è metafora della vita…
Faccio il mio bel tiro. La traiettoria è perfetta. Ho imparato a seguirla con gli occhi, in volo. Vedo la linea di lancio perfettamente combaciare con il bersaglio. Nel tiro faccio in modo che il dito che guida la pietra tracci una linea retta proprio sull’obiettivo, come se lo indicassi rapidamente, con l’indice. La pietra gli sta arrivando diritta sulla testa.
Un istante prima di essere colpito, il coniglietto guizza via, con un salto acrobatico.
Fiasco!
Mi sveglio dalla sindrome del training e rifletto, felice che il coniglietto se la sia cavata.
Sono bravo, mi dico. Mi esercito e sono proprio bravo.
Ma questo non è sufficiente a cogliere il bersaglio.
C’è una serie di fattori, di forze in campo, che non sono sotto il mio controllo. Se lo avessi preso, avrei dovuto dire: fortuna!
È così anche negli obiettivi del lavoro e della vita?
È per questo che abbiamo fede?
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