Categoria : Eugenio Guarini
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Innamorati di se stessi, innamorati della Vita.
Nell’innamoramento avviene una cosa curiosa.
È stata messa in evidenza da parecchi osservatori.
Sembra che il ruolo della persona di cui ci innamoriamo sia piuttosto secondario. Insomma, è certo che l’innamorato vuole proprio quella persona, è certo che è la sua unicità, il suo particolare, che costituisce l’oggetto dell’innamoramento. Ma è possibile innamorarsi anche di qualcuno che non ricambia, o che addirittura non sa di essere amato.
Più spesso, l’innamorato vede nella persona amata qualcosa che la persona amata non sa neanche di avere, o che addirittura non ha. C’è chi dice che l’innamorato vede nell’altro un’immagine della sua vita segreta.
Questo fa pensare che – anche se nel nostro sogno ideale i due protagonisti sono innamorati l’uno dell’altro – l’innamoramento sia un evento che riguarda fondamentalmente la persona che s’innamora. Quasi un processo autonomo.
Che sia, insomma, uno stato e un processo che avviene nella persona che ama, piuttosto che l’effetto di un fascino o di un irradiazione della persona che è oggetto di questo amore.
Succede spesso che uno si renda conto di essere innamorato anche quando l’altro rifiuta questo amore, o se ne va, non lo ricambia, o si nega.
E dunque? Che cosa trarre da questa osservazione?
L’ipotesi che uno sia in gran parte innamorato di essere innamorato.
Che l’innamoramento non dipenda del tutto dall’oggetto particolare dell’amore.
Pensiamo ad un’altra circostanza.
A volte camminiamo nel parco, in mezzo ai cedri secolari, alle siepi di biancospino e di olea fragrans, costeggiando le distese verdeggiati dei prati, e ci sembra di essere in un luogo di sogno. La nostra anima è leggera, il cuore gonfio, se diciamo qualche parola è subito poesia… è il paradiso.
Altre volte, passeggiando nello stesso parco, in condizioni oggettive simili, tutto ci sembra indifferente.
Allora?
Quando ci sentiamo in paradiso, la causa delle nostre sensazioni sta nello scenario oggettivo o in qualcosa di soggettivo?
Siamo invasi dallo stato di grazia perché c’è il parco meraviglioso o vediamo il parco in una luce meravigliosa perché siamo già in uno stato di grazia?
È la ragione che sottilizza la formulazione della domanda, perché la ragione osserva da una distanza emotivamente distaccata.
È chiaro che questa distinzione non sorge quando viviamo lo stato di grazia. E quando siamo in questo stato d’animo noi attribuiamo volentieri la bellezza e i nostri sentimenti allo scenario che abbiamo davanti. O l’attribuiamo a Dio, al mistero potente della vita.
Non potrebbe l’innamoramento essere qualcosa di simile? Uno stato di grazia che trova occasionalmente il suo oggetto e la sua causa fuori di sé, senza sottilizzare e senza rendersi conto che invece la sua causa più importante è lo stato di grazia che è venuto ad abitarlo?
Questa distinzione – che l’innamorato vorrebbe davvero esorcizzare per quel che lo riguarda – è diventata più importante nel mondo di oggi e su di essa, in un modo o nell’altro si lavora da decenni.
Perché?
Perché la vita della coppia oggi è diventata più difficile.
Anche se non è impossibile, è raro che un amore nato tra due persone sia in grado di sopravvivere a lungo. Oggi gli amori cominciano già con la certezza che tra non molto finiranno. E l’intesa, la comunicazione, la vicinanza tra due innamorati è diventata piuttosto precaria. Pronta a rovesciarsi, anche presto, in una sorta di guerriglia e di processo reciproco.
Non mi voglio pronunciare sulle cause di questo fatto. Ma sembra proprio che si tratti di un dato di fatto.
Le persone che devono fare i conti con un abbandono, un tradimento, una improvvisa rivelazione di essersi sbagliati in fatto di sentimenti, diventano via
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