Cose che contano
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Cose che contano
Glielo disse, con il lardo di Colonnato che gli usciva dalle gengive. Guardandola in faccia, diritto in quegli occhi profondi come le domande sull’essere. Glielo disse: Le cose che contano…
E quegli occhi già lo sapevano. Gli occhi delle donne..,
E, naturalmente, mi domandavo da dove nascesse quel senso di incompletezza, di insoddisfazione, anche quando le cose non sembravano andare così tanto male.
E non mi dava nessun conforto pensare che la vita, in fondo, è così…
… Certe filosofie, che ne fanno una scorciatoia per una saggezza che scuote rassegnata la testa e ammoscia il vigore senza speranza…
La filosofia spesso nasce dallo sforzo dei poveri per dare valore a quel poco che hanno. Le filosofie orientali sono tutte filosofie della miseria, che la trasformano in ricchezza dello spirito.
Lei continuava a guardarlo. Perforando la sua anima con quella profondità che evocava il mistero – tutto ciò che non sai della vita.
Me ne resi conto dopo, quando confermai ciò che avevo sospettato da sempre: che la vita è sangue caldo che scorre nelle vene, e operosità felice e gioiosa, e avventura. Che la vita è succulenta.
Cosa dà questo valore alla vita che stai masticando tra le gengive?
Puoi rispondermi in maniera chiara, evidente?
Era più un conato, un istinto, che una dottrina.
E ritornai ai sogni. Ripresi a sognare e mi risolsi a credere nei miei sogni, anche se parevano impossibili. Quelle erano le cose che contavano, per me. Realizzare i miei sogni. E non c’era ragionevolezza educata che potesse reggere il confronto con l’eccitazione che mi davano i miei sogni e la prospettiva che si realizzassero. E lasciavo la passione fluire in ogni gesto delle mani, in ogni momento della mia giornata.
In quelle straordinarie giornate degli inizi avevo messo a fuoco che il passaggio, il cambiamento vero – il “da qui a lì” – era tutto nel confermare e rafforzare la fiducia. E decisi che aver fede non era una semplice dichiarazione verbale, non era un semplice pensiero, non era neanche un proposito. Era un chimismo di umori e atteggiamenti, dal sapore preciso, dalla pressione determinata, dal gusto inconfondibile, che io sapevo provocare dentro di me. Una corrente umorale a cui aprivo la porta e che accoglievo a braccia aperte.
Avevo afferrato che avere fede rendeva la mia intelligenza vivace, acuta, sprigionava la mia immaginazione, consentiva di ignorare i piccoli malesseri, navigare nella salute e nell’energia, ritrovare ad ogni svolta della strada l’orientamento corretto. La mia fede non era una dottrina, era un modo di sentire.
E sgambettavo dalla mattina alla sera, fidandomi di tutto quello che veniva da sé: pensieri, quadri, decisioni, contatti, eventi.
Pensare, per esempio, era semplicemente accogliere e registrare i pensieri che venivano da sé. Guardarli e vedere la loro bellezza. La grazia con cui si concatenavano e costruivano un disegno promettente, intrigante. Com’era facile scrivere, in queste condizioni! Com’era facile sentire il giusto modo di comportarsi!
E mi resi conto che l’entusiasmo non era uno sterile spreco di energia, ma la misura esatta della vita. E che era facile aprire le porte all’entusiasmo, alla passione. Bastava esserci, completamente, in quel che facevi. Un altro – forse Dio stesso, in persona – rimescolava il grande minestrone. Ogni verdura era impegnata a dare il suo sapore. Essere completamente te stesso, dare quello che era nella tua natura, e nel contempo sapere che facevi parte del grande minestrone.
Lo si poteva dire così. E tutte le cose contavano, avevano valore.
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Il quadro: Cose che contano (acrilico su tavola cm 100 x 100)
Eugenio Guarini
http://www.eugenioguarini.it
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