E avventurarsi…
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Il quadro che presento oggi si intitola “Avventurarsi”. Lo guardo con commozione e affetto perché è di questi giorni e segna il ritorno di ciò che chiamo ispirazione. Del piacere di spennellare.
Avventurarsi è dolce in questo mare.
Innanzitutto sì, qualcosa che venga da sé.
Ricordo com’era bello un tempo affidarsi completamente alla spontaneità del pensiero. Non c’era preoccupazione. Era come essere con l’ombrello aperto e rovesciato a raccogliere la manna che cadeva dal cielo. Quello era uno stato di grazia.
Nel lavorare alla mia consapevolezza, in questi giorni, ci do dentro molto di pensiero logico e razionale. Perché penso, come tanti, che la consapevolezza sia testimoniata da un modo coerente di dire la propria situazione, ciò che è in gioco e quale linea d’azione è necessario seguire per risolvere ciò che c’è da risolvere.
E mi capita, come a tanti, che a forza di cercare consapevolezza razionale mi ritrovo incapace di scrivere a ruota libera, semplicemente registrando i pensieri che vengono.
Non tanto in questo momento che le cose scivolano via facilmente. Ma, per lo più, in queste giornate.
Ho voluto una reazione allo stato di debilitazione lasciato dalla malattia, e ho voluto anche reagire alla pigrizia, all’entropia che si è impossessata della mi anima. Insomma ho fatto un piano tutto personale di riattivazione della vitalità mentale. Immagina un corso autogestito di fisioterapia del pensiero – se si può parlare in questo modo.
Per esempio dopo pranzo.
Come a quasi tutti i maschi, dopo mangiato mi viene sonnolenza e mi si spengono le connessioni neuronali, mentre le palpebre si appesantiscono e invocano il divano.
Bene, dico io, voglio fare come le donne. Quelle donne meravigliose che dopo pranzo si tirano su e, conversando serenamente, rigovernano e risistemano il cucinino, leggere già nello stomaco e nella testa. Questo mi dicevo e mi ci sono cimentato.
Che ridere le prime volte! Ma la perseveranza ha dato dei frutti. E mi sono chiesto come mai per tanti anni ho dato per scontato che dopo mangiato era normale stravaccarsi con la pancia piena sul divano e perdere ogni contatto con il movimento della vita, scivolando nel torpore di un ventre satollo.
Che curioso che la reazione all’entropia della mente passi attraverso cose così elementari e come rigovernare e rimettere a posto il cucinino!
Ad ogni buon conto sono riuscito a risalire in sella, ma nella forma della lucidità razionale, che è controllo e regola. Molto emisfero sinistro, insomma.
Ed ecco che ogni volta che mi sono domandato: ma quando riprendo a scrivere newsletter ai miei amici del web? Beh, la risposta alla domanda era: non sono ancora pronto. Che diavolo!
Lo so che se cadi da cavallo ci devi saltare sopra quanto prima, possibilmente subito, altrimenti rischi di non farlo più. E la stessa cosa sembrava proprio succedermi con la newsletter.
E allora ecco che mi metto alla tastiera con quel senso di nostalgia per tutte quelle volte, straordinarie tante volte, che bastava aprire il computer e mettere le dita sulla tastiera e le cose arrivavano da sole, come se stessero aspettando in fila dietro quella porta che avevi appena spalancato.
E quante volte l’ho teorizzato che a pensare a ruota libera è facilissimo e ti dà una grande soddisfazione e finisce persino per portarti là dove non immaginavi – ma che segretamente desideravi.
Come se un interlocutore interno, che la sa un po’ più lunga della tua coscienza illuminata, ti parlasse più facilmente in quel modo, quando allenti la guardia.
Perché le mie cose nascono quasi tutte dal pensiero. La mia impresa, la mia avventura, hanno la loro sorgente nella vita del pensiero. E allora, in questi casi, è necessario che il pensiero sia la stessa vitalità intelligente diffusa nelle cose, lo stesso soffio rigeneratore che presiede al muoversi dell’universo verso le sue aspirazioni cosmiche.
E conviene accostarsi al pensiero come ci si accosta all’aria che si respira, a polmoni sgombri. Conviene stare con l’ombrello rovesciato, pronto ad accogliere la manna che cade dal cielo. E persuadere il tuo vocabolario a rivestire al meglio queste idee ignude che ci precipitano dentro.
Perché qui l’eccitazione sta nell’attesa dell’idea giusta, quella che ti riguarda e che apre l’orizzonte. Quell’idea che può rovesciare le sorti della battaglia.
E sto pensando a te, a quello che mi hai scritto. Questa confusione che patisci, dilaniata come sei da esigenze contrapposte, che ti fa sospettare talvolta di essere sbagliata, e che invece è semplicemente la sfida che devi affrontare.
O quando mi parli della decisione che devi prendere, anche se è dura, dolorosa.
Ecco, in queste situazioni, io mi aspetto che, andandole incontro con gli occhi spalancati, arriverà l’idea che risolve, che scioglie, che allarga, distende.
E avventurarsi è dolce in questo mare.
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