Antonella il clown pensante
Alle dieci avevo un appuntamento con Antonella R, in una borgata di Pont Canavese. Si tratta di una giovane donna che ho conosciuto la settimana scorsa nell’azienda agricola di Alessandro G, uno dei miei amici bionieri, se non il più benvoluto. Al momento delle presentazioni mi sono subito incuriosito: è di Torino, vive a Chambery dove segue il terzo anno di formazione circense al Flic… e che ci fa qui a titolo di wwoofer in una fattoria biologica?
Questo per dire la mia curiosità. Perché certe persone mi suscitano immediatamente curiosità? Perché vorrei conoscere al più presto la loro storia? Cosa c’è nella storia di altre persone che mi riguarda? Non voglio tentare risposte esaurienti a queste domande. Credo soltanto che è desiderio di vita: di vivere intensamente e di cercare stimoli nella vita degli altri. Un modo per credere che siamo tutti connessi, che le nostre singole esistenze hanno cibo per ogni altra esistenza.
E di questo passo arrivo alla fattoria di Poc ma Bon, l’azienda agricola biologica di Alessandro G. Parcheggio e mi accorgo che Ale non mi ha sentito perché sta ripulendo col decespugliatore gli spazzi che circondano la sua serra. I cani mi vengono incontro e fanno a pezzi il bianco dei miei pantaloni. Sono in anticipo e Antonella ancora non si vede. Mi sposto sulla strada a camminare e tentare di riflettere. Rifletto nella speranza di superare la distanza che c’è tra il fare le cose e diventarne consapevole. Impresa avvincente perché impossibile. E finalmente la vedo arrivare, con i suoi cani.
La conversazione entra subito nel punto. Antonella accetta di raccontarmi il suo lavoro come insegnante in un istituto per sordi a Torino, vedo che è fiera di quello che ha fatto, vedo che è fiera della lingua dei segni, è fiera dei suoi allievi.
Anch’io ho avuto dei rapporti con dei sordomuti della scuola di Cossato, nel Biellese, e ne sono rimasto incantato. La LIS, Lingua Italiana dei Segni, è qualcosa destinato a smuovere le viscere di ogni persona sensibile. Una lingua che è fatta di gesti, ma anche di molto altro. Fondamentalmente emozione e sentimenti. Di per sé una lingua teatrale: i parlanti recitano con partecipazione emotiva quello che dicono. Nessun paragone con un parlare amorfo, anonimo e asettico, che comunica informazioni fredde. Capisco molto di quello che Antonella mi dice. Ma, allora? Perché il circo?
Le vicende della vita portano Antonella fuori dalla scuola per sordo muti. Non ha i titoli necessari. Dopo cinque anni ci vuole la laurea e Antonella non l’ha portata a termine. Di fatto, durante l’università scopre che lo studio l’annoia. Lei deve fare, ha bisogno di usare le mani, e il corpo.
Un periodo di crisi. Il solito grande momento in cui le cose traballano e tu capisci che o ti decidi o muori. Lei si domanda: dove sarei felice, adesso? E la risposta le viene subito: sotto lo Chapiteau!, che il tendone del Circo.
È una passione che ha da piccola, ma frenata dalle esigenze di fare qualcosa che consenta di pagare le bollette. La madre le impone di studiare!
Ora però è il momento. Una sua insegnante amica le fa da mentore e la incoraggia. Antonella si dà da fare, si esercita, s’impegna. E l’allenamento e la formazione sono duri. Alla fine va alle audizioni del Flic a Chambery e viene ammessa!
Wow.
Qual è la tua specializzazione?
Il cerchio aereo e… clown!
Clown? – dico io.
…
La guardo. È una figura minuta, ma elastica, le spalle relativamente larghe, gli occhi grandi, il volto tendente all’ovale. Incomincio a vedere il volto del clown. E le chiedo di parlarmi di questa figura.
Il clown è una figura che fa ridere. È una figura che dà, che si dà, che si sdà completamente. Fino a che non resta quasi più niente per sé. Di qui quell’immagine di tristezza che la gente percepisce come connessa alla figura del clown.
Ho un sussulto.
Vedo nella testa Patch Adam.
Questa ragazza sta amando il mondo, la gente.
Sono quasi sgomento. Mi sta toccando il cuore.
I clown toccano!
Mi riprendo. Antonella, è fantastico, bellissimo. Ma spiega: perché qui? Che ci fai qui?
Sto cercando cose nuove, insegnamenti, comprensione.
Cosa stai sperimentando?
Un nuovo ritmo.
Stai fuggendo dal ritmo stressante della vita moderna, come fanno molti che vanno nell’artico o nel deserto?
Non sto fuggendo. Sto cercando di capire qual è per me il ritmo giusto. Sto cercando di vivere qui il ritmo della campagna, dell’agricoltura, per vedere in che misura si adatta a me. Vivere secondo il proprio ritmo è vivere in libertà, sottraendosi ai condizionamenti dell’ambiente. Non si tratta di andare piano o veloce. Sin tratta di trovare il proprio ritmo.
La guardo sbalordito. Nelle sue parole leggo una lezione che mi calza.
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